di Giancarlo Patrucco
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Fin da piccoli ci viene insegnato che ogni parola ha un significato, un senso. E che questo significato, questo senso, dev’essere ben precisato, affinché possa risultare chiaro e univoco per chiunque lo intenda. Poi, crescendo, impariamo che le parole spesso hanno più sensi, possono essere impiegate in contesti diversi e piegate a diverse esigenze. Finché scopriamo che con le parole si può anche giocare, tessere tele di ragno che sembrano perfette, luminose, iridescenti. Che ammaliano l’ascoltatore innocente, lo travolgono, lo sviano, lo ingannano, facendogli perdere il senso vero e trascurare i fatti.
Questo pare proprio il quadro nel quale, da troppo tempo a questa parte, quelli del PdL usano una parola che all’apparenza sembra portatrice di un significato univoco e che invece si rivela ambigua, sfuggente, piena di cabale, trabocchetti, doppi sensi. Questa parola è responsabilità e infiora ormai ogni dichiarazione e ogni commento di tutti i pidiellini che contano.
Berlusconi è un uomo responsabile. Ha sostenuto per quasi un anno un governo tecnico, facendosi da parte e permettendo a Monti di gestire la situazione critica in cui versava l’Italia. Tutto ciò, senza badare alle proprie convenienze, anzi occupandosi esclusivamente di quelle del Paese. Da vero statista. Poi, con mesi di anticipo su quel polentone di Bersani, ha giudicato fin da subito che i risultati elettorali della primavera scorsa impedivano qualsiasi maggioranza che non fosse quella delle larghe intese. E, responsabilmente, ha dato vita al governo Letta, sostenendolo.
Qui, il PdL fa intervenire un’altra parola, anch’essa mutevole e sfuggente: pacificazione. Dopo vent’anni di guerra, è tempo che PdL e PD depongano le armi. Per la verità, questa della pacificazione nazionale non funziona tanto bene quanto quell’altra. A volte Berlusconi se ne dimentica, specialmente quando si trova davanti un pubblico osannante, spesso se ne dimenticano pure i cosiddetti falchi e persino la delegazione del PdL al governo ha qualche amnesia quando si tratta di IMU, di IVA e di vincoli vari. D’altronde, come fa a sopportare i vincoli un partito vocato alla libertà?
Ma torniamo al filone principale. Berlusconi ha sopportato decine di istruttorie, centinaia di ispezioni tributarie, migliaia di intercettazioni, da quando si è messo in politica. Il sospetto di una persecuzione viene, per di più quando si vede che una fetta della magistratura fa l’occhiolino alla parte avversa. Eppure, Berlusconi si è sempre difeso, accanitamente ma responsabilmente. Ora, dopo che la magistratura collusa l’ha stretto alle corde, chiede un atto di responsabilità agli altri. A Napolitano, perché veda lui: grazia, amnistia, si prende tutto. A Strasburgo, perché dica qualcosa sulla legge Severino: applicabilità, retroattività, costituzionalità, basta che batta un colpo.
Ma Berlusconi si rivolge soprattutto al PD, nella Giunta per le immunità, nell’aula del Senato, nella persona del premier Letta. Trovino il modo di dichiararsi contro, chiedano un parere alla Suprema Corte, fermino l’orologio che corre, corre, corre. In caso contrario, la responsabilità (rieccola) di non aver voluto la pacificazione, di aver mandato a casa il governo e a gambe all’aria il Paese sarà del PD e del PD soltanto. Se ne ricorderanno gli italiani nelle urne.
Ve l’avevo detto che le parole possono combinare molti scherzi e vi avevo avvertito che “responsabilità” è una di queste. In effetti, l’uso che ne fa il PdL mira ad incastrare la controparte. Se voti per la mia decadenza, appare trasparente che il mio disegno è esatto: sei colluso con la magistratura di sinistra e vuoi sbarazzarti per via paragiudiziaria di un avversario politico che non sei mai stato in grado di sconfiggere elettoralmente. E’ ovvio, ma rimane sottinteso, che se voti per me, il mio abbraccio di riconoscenza, il mio bacio della pace ti porteranno alla distruzione. Alla morte.
Siamo arrivati così ai confini di una farsa che però potrebbe trasformarsi in tragedia. Tutto questo per colpa del Partito Democratico? Suvvia, siamo seri. Diamo alle parole il senso che viene dai fatti. Berlusconi è stato condannato in via definitiva, dopo tre gradi di giudizio, a una pena pesante e a una misura accessoria da determinare ma che, per uno come lui, sarà senza dubbio ancora più mortificante. Però, non è stato condannato per aver copiato la tesi di un altro o per essersi dimenticato di regolarizzare la colf, bensì per evasione fiscale. Per di più, in pieno conflitto di interessi, perché da una parte badava ai suoi interessi personali e dall’altra danneggiava quelli del Paese che rappresentava come primo ministro.
Di qui si deve partire, obbligatoriamente, per distribuire responsabilità e addossare colpe. Con la Costituzione che ci siamo dati, la quale garantisce l’autonomia ai tre poteri su cui si regge lo stato di diritto, non hanno senso le accuse di Berlusconi, così come pare fuori luogo quel suo voler sovrapporre alla condanna il riconoscimento elettorale che ha ottenuto e che potrebbe ottenere in futuro. Non si diventa innocenti in virtù dei voti, ma in base ai verdetti delle corti di giustizia. Mischiare le carte favorisce soltanto la confusione, per tacere di quella deriva populista di cui siamo stati altre volte storicamente protagonisti e vittime.
In altri Paesi, democratici, personaggi eminenti si sono dimessi per molto meno. Qualcuno si è ritirato addirittura dalla vita pubblica. A Berlusconi non si chiede tanto, l’uomo è quel che è e si vede. Ma è inutile che giri la frittata. Sta bruciando da una parte sola. La sua.