Lavoro delle mie brame…[Controvento]

Job Wanteddi Ettore Grassano

E’ sempre lui, il lavoro, il protagonista delle cronache, locali e non. Più scarseggia, e più se ne parla. E allora non possiamo che tornare sul tema anche noi, pur sapendo che è argomento fra i più ‘spinosi’, di questi tempi.

Ieri, a poche ore e a poche decine di metri di distanza, il lavoro è stato al centro di due momenti di incontro, a Palazzo Ghilini e alla Camera del Lavoro.
Solo che in Provincia si presentava la Festa del Lavoro legata agli Sportelli Creazione Impresa, mentre alla Cgil del lavoro si celebrava, se non il funerale, comunque lo stato di coma profondo.

E, badate bene, la contraddizione è solo apparente: infatti quello della Provincia è un progetto, tentativo benemerito e non si sa ancora quanto realmente efficace (non basta aprire un’attività; la stessa deve anche stare in piedi e produrre utili, almeno dopo i primi 2 o 3 anni: o finiti gli incentivi si chiude e ciao ciao), mentre l’analisi della Cgil è una fotografia, impietosa e realistica, dello stato dell’arte.

Naturalmente a tutti noi piacerebbe pensare che davvero Alessandria si è rimessa in moto, e che siamo ormai fuori dal famoso tunnel di Monti, e in prossimità della terra promessa di Letta. Il timore però è che gli ultimi due premier abbiano sparato corbellerie senza costrutto (e senza avere le phisique du role per farlo, alla Berlusconi: a ciascuno il suo), mentre ieri pomeriggio Silvana Tiberti, combattiva ed appassionata segretaria provinciale della Cgil alessandrina, ha tracciato ai cronisti locali un quadro basato su numeri che sono macigni.

E mentre la ‘pasionaria’ della Camera del Lavoro mostrava e commentatava dati e tendenze (quasi tutte negative, con l’emergere di fenomeni anche nuovi in certe dimensioni di massa, come il licenziamento per giusta causa, ma da parte del dipendente: circa venti lavoratori ogni giorno, sul territorio provinciale, dopo un anno di lavoro non pagato scelgono di andarsene, perché in tal modo hanno se non altro accesso al sussidio di disoccupazione), i cronisti si guardavano tra loro, tra l’incredulo e lo sconfortato.

Non ha peraltro mancato, Silvana Tiberti, di ricordare che anche l’editoria è nel baratro (ma quanto a deregulation, i giornalisti sono pionieri: e fa un po’ tenerezza, a volte, vederli raccontare con trasporto il dramma di operai o parastatali che non incassano la quattordicesima…), e che questo, oltre ad avere un impatto economico per i lavoratori, genera anche qualche problema in più, sul fronte dell’indipendenza dell’informazione, e della democrazia. Ma è un tema che porta lontano, su cui magari tornare a parte.

Restiamo sul lavoro. I numeri sono drammatici: 35 mila disoccupati ufficiali in provincia, e la previsione che possano essere  molti di più entro la fine del 2014. Ma per completezza di quadro andrebbero conteggiati i tantissimi precari, le partite iva e i free lance sottopagati, i part time non propriamente per scelta. Insomma, scenario devastante. In cui le uniche oasi di resistenza sembrano essere le aziende medio grandi, che hanno saputo investire per tempo in innovazione, e qualità del prodotto. E naturalmente chi ha puntato sull’export.

Ma è troppo poco per stare sereni, a fronte di una domanda interna in caduta libera: è vero, la logistica ‘tiene’ a Tortona e Rivalta, il dolciario a Novi. Ma il resto è il deserto, e Alessandria e Casale due territori a perdere, o quasi. E per un giorno non si è parlato di Palazzo Rosso, anche se il fantasma aleggiava, eccome.

Mentre Tiberti parlava, a noi venivano in mente le teorie di certa sinistra anni Settanta, che il lavoro come forma di sfruttamento e alienazione voleva abolirlo, o renderlo il più possibile marginale nella vita delle masse.

Il che, diciamocelo, sarebbe piaciuto a tanti. Ma le cose sono andate in maniera decisamente diversa, e oggi il lavoro sembra diventato una sorta di miraggio, di premio della lotteria. Altro che diritto costituzionale. Anche se, certo, sarebbe sciocco non riconoscere che esistono tante Italie, e quella descritta dalla Cgil non è l’unica: perchè ci sono anche non marginali fasce di italiani che oggi, anno di grazia 2013, vivono benissimo anche senza lavorare: e non sono i ricchi veri, da rotocalco o soap opera, ma una classe media che, anche qui in provincia, ha conti in banca con molti zeri, e redditi da pensione e da investimenti non trascurabili.

In ogni caso Silvana Tiberti guarda giustamente al disagio del suo universo di riferimento, e con amarezza e buon senso continua ad invocare una presa di responsabilità della classe dirigente (politica, imprenditoriale, culturale), senza la quale non sarà possibile nessuna vera progettazione condivisa, e si continuerà a declinare, cercando ognuno di limitare i danni, in attesa di improbabili miracoli, o di terre promesse vagheggiate da leader un po’ ciarlatani.

Quello della classe dirigente locale, del suo ricambio e delle sue responsabilità è tema su cui continuare a ‘martellare’. Posto che, comunque, progettare il futuro, partendo dalla desertificazione in corso, richiede coraggio, visione, competenze, e la consapevolezza che, in ogni caso, si dovranno attraversare anni difficili.

Nel frattempo, però, che si fa? “Uolter” Veltroni, ricordiamo, qualche anno fa proponeva come antidoto alla disoccupazione i film d’essai al pomeriggio, a prezzi calmierati. Ma ad Alessandria hanno già chiuso anche quasi tutte le sale cinematografiche, accidenti!