Per confortarci, ci mancava pure l’etichetta di area più infelice della regione, affibbiata ad Alessandria e provincia dall’indagine di Ires Piemonte.
Una certificazione di infelicità in cui pare determinante il clima ‘cupo’ che aleggia sul capoluogo da un anno e mezzo a questa parte, per le note vicende del comune, ma che in realtà ha radici assai più articolate.
Intanto, si cerca di misurare la percezione di benessere, che è qualcosa di diverso dal benessere oggettivo. Che nell’alessandrino, per fortuna e checchè ne dicano ricerche e interviste da bar, è ancora altissimo. Come definireste, se non benestante, un territorio in cui si lavora sempre meno, ed esiste un livello medio di risparmi superiore alla media nazionale?
Eppure gli alessandrini si sentono precari, soprattutto perchè percepiscono che molte sicurezze e garanzie sono al capolinea. E’ un’infelicità, insomma, da perdita di diritti acquisiti, che qualcuno ci aveva convinti essere diritti inalienabili.
Cosa potrebbe esserci di positivo, in tutto ciò? Semplicemente l’infelicità potrebbe/dovrebbe generare un cambio di marcia, e di mentalità. Non negli anziani (che sono tantissimi, peraltro: e per fortuna ben garantiti), ma nelle generazioni pienamente attive, e nei ragazzi. Che hanno davanti tutto un mondo di opportunità da costruire e conquistare, e la fortuna di partire in genere con un po’ di fieno in cascina, grazie all’oculatezza di genitori e nonni. Perché mai un simile ‘milieu’ di partenza dovrebbe generare infelicità, anziché slancio ed entusiasmo, rimane un mistero. Basta lamentele di maniera dunque, dai: rimbocchiamoci le maniche, e facciamo ognuno quel che può, e che sa. Chi ci prova, e ci crede, qui o altrove, è pronto a giurare che sia addiririttura più divertente che stare a lagnarsi tutto il giorno dei politici ladri e ‘maneggioni’: che pure quelli, in fondo, ce li abbiamo messi noi lì, e se non ci piacciono basta sostituirli.