2 agosto: “Buone ferie ragazzi, ci si rivede il 26”. Ma il giorno dopo cominciano a smantellare la fabbrica, spostando tutti i macchinari, destinazione Polonia.
La notizia è rimbalzata su tutti i giornali solo per il modo, perché in realtà la sostanza è assolutamente la norma, oramai. Il mercato è globale, e si va a produrre dove è più conveniente. Ce lo ha ricordato di recente anche Alessio Ferraris, segretario provinciale Cisl: e nonostante un certo esagerato trionfalismo governativo (che gioca a confondere il previsto ‘rimbalzo’ autunnale con una ripresa strutturale che non c’è), nei prossimi mesi ci attende (dati del Centro studio della Cna, l’associazione degli artigiani) una nuova crescita della disoccupazione. I senza lavoro ufficiali, ossia coloro che cercano lavoro, arriveranno a fine 2013 a 3 milioni e mezzo di persone. Quelli ufficiosi, ossia comprendenti chi il lavoro non lo cerca neanche più, sono circa il doppio. A cui naturalmente va sommato l’esercito dei precari, e dei sotto occupati.
Il paradosso, vero e indiscutibile, è che questa massa di persone con molto tempo libero, mettiamola così, non è certamente alla disperazione. Non tutti almeno, o non ancora, giacchè le due reti di assistenza (quella pubblica, ossia gli ammortizzatori sociali, e soprattutto quella privata, cioè il risparmio delle famiglie) hanno finora funzionato a dovere.
Ma, è evidente, un Paese in pensione e cassa integrazione, e che riduce costantemente i consumi per fare ‘durare’ un po’ di più il gruzzoletto, magari anche assai cospicuo, di risparmi famigliari, non è esattamente un modello virtuoso, e dal fulgido avvenire.
Qui naturalmente entra in gioco il ruolo del governo, e della politica. Se mai dovesse superare “l’incaglio Berlusconi” (ed è lecito dubitarne: ne parliamo domani), il governo Letta Alfano è in grado di dare una prospettiva di nuovo sviluppo ad un Paese al contempo ancora benestante ma paralizzato? E’ lecito dubitarne, a partire dal profilo personale dei due esponenti del Pd e del Pdl: non leader, non figure carismatiche, ma seconde file con il profilo dei curatori fallimentari di un sistema al capolinea. Che naturalmente non significa fine del mondo, o dell’Italia: ma presa d’atto (che in molti italiani ancora non c’é: strategia dello struzzo?) del fatto che questo sistema è insostenibile. A meno, naturalmente, di non riuscire ad ottenere dall’Europa continue deroghe, e il riconoscimento di una ‘eccezionalità permanente’ del Belpaese, che però si giustificava ai tempi della ‘guerra fredda’. Oggi, sullo scacchiere internazionale, siamo più marginali che strategici, e una volta che le banche estere (tedesche e francesi in particolare) saranno riuscite a rientrare della loro ‘esposizione’ con il sistema Italia (operazione in corso), è ben difficile che continuino a sostenerci.
E’ dalla nostra politica, dunque, e solo da quella che devono arrivare proposte e progetti realizzabili (non sogni o affermazioni demagogiche) su come far fronte ad un quadro occupazionale in caduta libera, con imprese in fuga non perché sono cattive, ma perché qui chiudere o trasferirsi spesso sono le uniche alternative al fallimento. E, naturalmente, sotto le macerie ci rimangono sempre le fasce più deboli, che non sono in grado di attivare alternative personali e famigliari, e alle quali continuiamo a credere non si stia raccontando la verità sul loro futuro prossimo venturo. Speriamo naturalmente di sbagliarci.