Garavelli: “da pendolare della sanità, ecco come vedo Alessandria…”

Garavelli PietroIn Brasile gli hanno dedicato di recente il nome di una nuova specie di parassita, chiamandola “henneguya garavelli”, e lui dichiara: “è una bella soddisfazione, collegata al fatto che la blastocistosi, o malattia di Zierdt-Garavelli, da me individuata parecchi anni fa, è particolarmente diffusa in Sudamerica”. La storia del professor Pietro Garavelli è quella di un alessandrino doc (“di Valmadonna per la precisione: e ancora ci vivo”) che ha trovato nella vicina, e culturalmente assai diversa, Novara la propria piena realizzazione di medico e docente universitario: dal 2000 è direttore della Struttura Complessa di Malattie Infettive dell’Azienda Ospedaliero Universitaria “Maggiore della Carità”, e insegna presso la locale Facoltà di Medicina. Ma non ha mai smesso di sentirsi pienamente alessandrino (“e non le dico gli sfottò dei colleghi novaresi negli anni scorsi, con la loro squadra di calcio in serie A e i Grigi sul baratro del fallimento: ora speriamo di rifarci!”), e di ‘soffrire’ per gli alti e bassi (“più bassi che alti, ad essere onesti”) del nostro territorio. E non nega che “tornerei volentieri a lavorare ad Alessandria, e per Alessandria. Ma questa città sembra avere la caratteristica di allontanare le sue risorse più dinamiche, per poi dimenticarsene. E a Novara io sto bene, e ho gratificazioni professionali importanti”.
Proviamo a farci raccontare, allora, il punto di vista di un pendolare sicuramente esperto di sanità, ma anche critico osservatore della vita pubblica locale.

Professor Garavelli, partiamo da un elemento che, nel suo curriculum di studi ePlana liceo classico professionale, cade subito all’occhio: lei ha frequentato il liceo classico al Plana, ma ha ‘saltato’ l’ultimo anno. Cosa significa?
(si fa una bella risata, ndr) Vedo che il particolare non le è sfuggito. Significa che (allora, alla fine degli anni Settanta, c’era una norma che lo consentiva, ora non saprei), avendo conseguito la media dell’8 alla fine del primo quadrimestre della seconda liceo (il quarto anno del classico, ndr), mi fu segnalato che avrei potuto presentarmi a giugno alla maturità in anticipo, portando naturalmente tutte le materie dell’ultimo anno. Lo feci, e mi diplomai con 42/60, ma in quattro anni anziché cinque. Fu una follia, le assicuro: cose che si possono fare una volta sola nella vita, e giusto a 18 anni!

Dopo la laurea in Medicina a Pavia è finito subito a Novara?
No, in realtà lavorai per diversi anni ad Alessandria, al Santi Antonio e Biagio, in diversi ruoli, sempre nell’ambito delle malattie infettive, la mia specializzazione. E fu anche un po’ imbarazzante, perché all’epoca mia madre, che era impegnata in politica con il Partito Socialdemocratico, era nel comitato di gestione, il cda di quei tempi diciamo. Però in quegli anni, insieme al collega Lorenzo Scaglione, che oggi è a Bordighera, pubblicai anche importanti studi su un particolare parassita: studi che mi consentirono poi di proseguire la carriera a Novara, come primario. In parallelo, verso la fine degli anni Novanta, cominciò anche il mio impegno sindacale, sempre in ambito professionale, e dietri il mio contributo alla nascita dell’Ugl Medici di Alessandria: che arrivò a sfiorare i 100 iscritti all’ospedale cittadino, e ad essere il secondo sindacato di categoria.

Ospedale AlessandriaInsomma professor Garavelli, lei la sanità piemontese la conosce piuttosto bene: oggi la situazione è davvero così drammatica?
Premetto che su questi temi mi esprimo come sindacalista: come la legge impone. Sì, abbiamo seri problemi, certamente, e la necessità di razionalizzare. Ma per far capire meglio la situazione la contestualizzo: La sanità italiana costa circa il 10% del nostro Pil, ossia meno di quanto costa a francesi e tedeschi (circa 15%), e negli States (circa 25%, anche se naturalmente quello è un sistema diverso). In più direi che la nostra sanità pubblica è migliore di quella tedesca, e inferiore in Europa per qualità solo a quella francese, che è notevole. Il problema, però, è che il nostro Pil progressivamente decresce, e così le risorse, in termini assoluti. In più esiste uno squilibrio, in Italia, dettato dai costi del nostro welfare previdenziale. Che si riverbera anche sulla sanità, nazionale e piemontese. Come se ne esce? Ci sono diverse strade: una è orientarsi verso una formula di sanità mista, pubblico/privata, che però è lontana dalla nostra cultura. Un’altra è modificare la struttura della sanità pubblica: ossia, tenendo presente che il 70% dei costi complessivi è rappresentato da cure per malattie oncologiche, cardiovascolari e diabetiche (con un’impennata dei costi negli ultimi mesi di vita dei pazienti), si potrebbe decidere che tutto ciò resta pubblico e gratuito, mentre altri tipi di patologie e cure vengono privatizzate, con coperture assicurative private e via dicendo. Poi c’è la strada più semplice, che è quella che si sta battendo: ossia lasciamo tutto com’è,  e riduciamo progressivamente risorse a tutti.

Funzionerà?
Diciamo che la strada di creare alcuni ospedali regionali di eccellenza (Molinette a Torino, eCorsia ospedale poi Cuneo, Novara e Alessandria), e di ridimensionare le altre strutture territoriali, rimodulandone le funzioni, le attività e i costi, ha un senso. Non si può però non tener conto (come è successo con la cosiddetta riforma Balduzzi) che l’Italia non è tutta uguale. Per dirla in termini locali: un conto è Valenza, che è a due passi da Alessandria, un conto è l’ovadese: territorio dispersivo, collinare, lontano da Alessandria e da Genova e con popolazione mediamente anziana.

Professor Garavelli, nel suo futuro c’è l’attività di manager della sanità, per caso?
(sorride divertito, ndr) Che vuole che le dica? Sono nell’elenco regionale degli idonei al ruolo di direttore generale di Asl o Azienda Ospedaliera, e sto conseguendo in Bocconi un master biennale in management sanitario. Il resto lo scopriremo strada facendo: certo, dare una mano ad Alessandria, partendo dal settore in cui ho competenze specifiche, non mi spiacerebbe…

Comune Alessandria seraLei, da tanti anni pendolare con Novara, che idea si è fatto del nostro territorio?
Non sarò diplomatico: siamo rimasti davvero indietro, mal messi. E consideri che quando i nostri politici, qui da noi così spavaldi, se ne vanno in trasferta in altre zone della regione si mettono in un angolino, in disparte. Li ho visti io, cercando anche di stimolarli a farsi sentire e vedere di più. Politicamente io sono un orfano della prima repubblica: nel senso che rimango convinto che allora, con tutti i limiti e le degenerazioni che abbiamo conosciuto, comunque c’era una selezione della classe dirigente, oggi c’è semplice cooptazione tra mediocri. Tanti alessandrini se ne sono andati altrove, per far valere i loro talenti, e un depauperamento del territorio certamente c’è stato, in politica come altrove. Se le facessi un parallelo con Novara, sarebbe impietoso. Là quando è il momento magari si scannano, ma sanno anche fare sistema: e parlo di politica, ma anche di industria, di progetti per il territorio. Da noi nelle cronache quotidiane si legge sono un lungo elenco di occasioni mancate: la Valfrè, la Cittadella, l’Università, il Terzo Valico, la banca che non c’è più, la logistica. Mi fermo, ma potrei continuare.

Insomma, abbiamo perso il treno definitivamente, e siamo condannati allaGaravelli 2 marginalità?
Questo mai. Tutti i processi umani si possono invertire, a l’alessandrino ha dalla sua anche tante potenzialità, a partire da una posizione geografica strategica. Ma bisogna fare sistema, e per riuscirci ci vogliono uomini, idee e progetti.

Ettore Grassano