Paolo Zoccola: “..e se Alessandria diventasse motore del cambiamento?”

paolo_zoccola1Il profilo, baffo barba e immancabile sigaro fra le labbra, è sempre quello. Paolo Zoccola è un raro esempio, per la categoria in generale e ancor più per questa provincia, di giornalista intellettuale. Nel senso che al mestiere di ‘scribacchino’ di notizie esercitato a livelli eccellenti (fu per una ventina d’anni carismatico direttore, e coeditore, del Piccolo di Alessandria, che portò tra l’altro da bi a trisettimanale), ha sempre affiancato l’attività di docente universitario, alla Facoltà di Magistero a Torino. Oggi Zoccola è osservatore lucido e attento di quanto accade sul nostro territorio, e nel Paese: e senza venir meno ai nuovi doveri di nonno, appare intenzionato a dire ancora la sua, e a portare il suo contributo di riflessione, e di proposta. Arriva all’appuntamento mattutino in bicicletta (“ad Alessandria ci si sposta tranquillamente e piacevolmente sulle due ruote: basta volerlo”), e l’aperitivo è l’occasione per un’analisi ‘al galoppo’ attraverso diversi decenni di ‘alessandrinità’. Cercando di capire cosa ci riserva il domani, a partire dal prossimo autunno.

Direttore (e professor) Zoccola, da alessandrino che ha attraversato diverse fasi di questa città, e le ha anche raccontate: il passato era davvero tanto migliore di questo presente?
Paolo va benissimo, senza direttore o professore. Ma no, mi creda: oggi siamo davvero mal messi, ma non è mai esistita un’epoca in cui Alessandria sia stata un’isola felice, con promesse e potenzialità davvero realizzate. Anche quando, negli anni Sessanta, si enfatizzava il nostro ruolo geografico, al centro del triangolo industriale, in fondo qui da noi cosa arrivava di tutto quello sviluppo? Giusto l’immondizia….

Ecco, tanto per partire bene, con quel tanto di scetticismo alessandrino che ci caratterizza da sempre..
Eh no, qui la devo correggere. In realtà lo scetticismo alessandrino, che ormai in noi tutti sconfina nel nichilismo, non è sempre stato nel dna di questa città. Però per spiegarlo devo fare un ulteriore passo indietro, che forse ci permette anche di inquadrare meglio la situazione. Posso?

Prego…
Questa cent’anni fa, prima del fascismo, era già una grande città militare, e con fortiBorsalino_fabbrica tradizioni agrarie tutto intorno, che seppe ad un certo punto cogliere appieno i frutti della rivoluzione industriale. Si cita spesso, e giustamente, la grande Borsalino: ma fabbriche ce n’erano molte altre, compreso il settore dell’automobile prima o in parallelo a Fiat, mentre ad esempio anche l’aeroplano con cui D’Annunzio sorvolò Fiume era stato costruito qui da noi. Insomma, c’era vitalità, voglia di fare e di intraprendere. La stessa classe operaia di Borsalino, per molti versi, era aristocrazia operaia, e i sindacati erano già presenti ai tavoli delle trattative aziendali. Così come nacquero ad Alessandria i primi asili comunali del Paese: di questi tempi sembra impossibile magari,  ma è così. Alessandria era punto di riferimento di una grande parte di Piemonte, e non piegava facilmente la testa neppure di fronte a Torino. Insomma, io ricordo che mio padre (e molti come lui) era orgoglioso di essere alessandrino.

E il declino, quando comincia?
Impossibile fissare una data, naturalmente. Ma di sicuro la nascita, nel 1934, della provincia di Asti fu un duro colpo: si perdeva in quel modo l’influenza su una bella porzione di territorio, ricca e confinante con Torino. Certamente fu un primo elemento negativo. Ma fu dopo il fascismo e dopo la guerra che Alessandria, pur nel clima di ricostruzione, non seppe ritagliarsi una nuova centralità. E’ lì, in fondo, che comincia la nostra mentalità statalista: ancora caserme, ferrovie, poste, impiego pubblico generalizzato, e poco altro.

Simonelli ClaudioPerò questa fu anche la città di giunte di centro sinistra piuttosto innovative…
Sì, ci fu negli anni Sessanta la fase della programmazione, il sogno dell’Alessandria città industriale da 200 mila abitanti, con giovani brillanti e preparati come Simonelli (nella foto) e Castellani. Ma durò poco, tutto sommato, e fu un progetto ben presto abbandonato, per decisione della stessa sinistra, che temeva che portare qui aziende e lavoro avrebbe significato tensioni sociali, immigrazione, tumulti. Magari era vero, ma è lo scotto che si paga quando si vuole avere una vera centralità: qui si scelse, fin dagli anni Settanta, con le giunte guidate da Borgoglio e Brina, un’altra strada, più indirizzata verso un modello di economia pubblica. Oggi diremmo parastatale. E la Michelin rimase in fondo l’unico esempio di nuovo grande insediamento industriale sul territorio.

Il centro sinistra governò a lungo la città, fino agli scandali di Tangentopoli, e all’arrivo della Lega Nord. A quell’epoca, Paolo Zoccola era già da tempo saldamente alla guida del Piccolo…
Sì, sono stato direttore del Piccolo dal 1979 o 1980 (sa, la memoria….) fino al 2000. Quindi ho vissuto pienamente, raccontandola, la crescita degli anni Ottanta, con tutte le sue crescenti contraddizioni, fino al crollo della prima Repubblica, che qui da noi coincise con l’ascesa rapidissima, furiosa della Lega. Per certi versi la Lega del 1993 ricorda sicuramente il Movimento 5 Stelle di oggi: se non altro perché bastava essere messi in lista per venire eletti. Nessuno si chiedeva chi eri, cosa sapevi fare. Con tutto ciò, il primo mandato del sindaco Calvo fu eccellente. Certo, condizionato dal dramma dell’alluvione, che poi si trasformò anche in grande opportunità, con un fiume di denaro in arrivo da Roma, utilizzato per far ripartire la città, e ridisegnare interi quartieri. Chi si ricorda cos’erano gli Orti prima del disastro, e cosa sono stati dopo, sa bene di cosa parlo.

Qualcuno però sostiene che la logica di spendere più di quel che si incassa, e diComune Alessandria 3 gonfiare gli organici comunali, cominciò in quegli anni….
Ma no, anche questo è esagerato. La logica del parastato un po’ clientelare, e il mito del posto pubblico, ad Alessandria nacquero ben prima. Certamente negli anni Novanta, e anche nei successivi Duemila, c’era la possibilità di fare assunzioni, e non ci si è posti gran che il problema del dopo. Ma, procedendo un po’ a zig zag e facendo un passo indietro, ad Alessandria ci fu anche, in precedenza, una fase di ‘pubblico’ virtuoso, cominciato con Basile e durato fino agli anni Settanta: momenti in cui il denaro pubblico servì davvero per far crescere la città, e la comunità. Penso a cosa rappresentarono per gli alessandrini la prima piscina comunale, il Palasport, il Teatro: ecco, se vogliamo individuare un emblema della decadenza, dello sfascio, e del dissesto anche culturale di oggi, Il Teatro comunale sprangato, la Fondazione Tra sciolta e i suoi dipendenti senza un futuro sono davvero un simbolo drammatico, e significativo.

Direttore, parliamo degli ultimi dieci anni: giunta Scagni e giunta Fabbio. Un giudizio sintetico?
La Scagni prese in mano una città in cui le periferie erano state in buona parte rivitalizzante, ma il centro città era davvero mal messo. Provò a reinventarlo, e mise in campo alcune buone idee, lasciate un po’ a metà, tutto sommato, e mal comunicate. Fabbio, invece, rimane per me una vera incognita: stravinse, ebbe una vera e propria lunga luna di miele con gli alessandrini, e sembrava lanciato in una serie di trasformazioni importanti. Poi alle finanze aveva Vandone, un docente universitario di lungo corso, ed io ingenuamente ero portato a pensare che sapessero ciò che facevano. Mai, francamente, mi sarei atteso un epilogo tanto tragico per la città.

E oggi? C’è chi dice che, dopo 15 mesi di giunta Rossa, siamo sempre al punto diRossa Rita 6-11 partenza, e senza un progetto concreto di ripartenza. Che ne pensa?
Mica vuole farmi parlare male di Rita Rossa vero? Fu mia studentessa all’Università: bravissima e puntigliosa, sapeva sempre tutto. E poi sono stato anche amico di Angiolino, cattiverie non gliene posso dire. Però concordo con chi dice che un progetto vero, complessivo, all’orizzonte non si vede. Ma forse in questo caso dobbiamo allargare un po’ lo sguardo allo scenario nazionale: al di là del dissesto, non è che Torino, o tante altre città, stiano meglio di noi. E i partiti oggi alla guida del Paese, Pd e Pdl, non mi pare davvero possano rappresentare una novità, un cambiamento. Rimango convinto che serva al Paese una spinta nuova. Grillo ha intercettato un fortissimo bisogno di cambiamento, ma lo ha fatto a modo suo, e con tutti i limiti che sono emersi. Però i 5 Stelle, e l’astensionismo di massa, dimostrano che l’Italia ha bisogno di novità vere. Di nuovi progetti di ingegneria politica, e di nuovi soggetti e proposte. E chissà che Alessandria, per la situazione particolarissima in cui si trova, non possa davvero tornare ad avere la centralità e l’orgoglio di un secolo fa, e rappresentare il punto di partenza del cambiamento. Al punto in cui siamo, tutto è possibile, e tutto va tentato.

Ettore Grassano