“Ho staccato la spina solo una settimana, a luglio. E ora sono qui tutto agosto, in prima linea. Anche perché ho l’impressione che non sarà un mese inoperoso, tutt’altro”. Alessio Ferraris, segretario provinciale Cisl, ci accoglie nel suo ufficio di via Tripoli, ad Alessandria, con vista sul campanile del Duomo. E ci offre caffè e krumiri di Casale (a proposito di eccellenze del territorio, da difendere e valorizzare), ma soprattutto un’analisi a tutto campo di ciò che è lecito attenderci nei prossimi mesi, sul fronte del mercato del lavoro di casa nostra. Con la consapevolezza che i mercati sono ormai globali, ma che è assolutamente determinante ciò che si riesce a fare (o a non fare) su scala locale, in termini non solo di contrattazione salariale, ma di sviluppo e di progetti a sostegno del territorio. Serve un sindacato, insomma, che esca dalla linea Maginot della sola difesa (assolutamente doverosa) dei salari delle categorie garantite, e sia parte attiva di un processo di innovazione di sistema.
Segretario Ferraris, che ne sarà di noi in autunno? Avete dati e proiezioni affidabili?
Farei questa premessa: la crisi è stata certamente globale: ossia, anche se ci sono Paesi, settori produttivi e territori che ne hanno risentito di più, e altri di meno, nessuno ne è stato immune. Però attenzione: la novità rispetto al passato è grande, e niente sarà più come prima. Compreso il fatto che la ripresa, che naturalmente ci sarà, non sarà per niente altrettanto globale, e generalizzata. Ma diversa, e per nulla scontata: dipenderà molto dal contesto, dai settori e, appunto, dai territori.
Ma da noi, in provincia, cosa succederà nei prossimi mesi?
Qualche timido segnale di ripresa lo abbiamo: ma è davvero troppo presto per capire se siano indicatori significativi, oppure semplicemente l’effetto della fine delle scorte di magazzino, per diverse realtà. Però ripeto: o ci rendiamo conto che la crisi di questi anni è strutturale, ha cambiato tutto, e richiede un approccio nuovo, o non vivremo nessuna ripresa reale. Oggi, semplicemente, i mercati e le produzioni si spostano là dove trovano condizioni più favorevoli. Per questo non possiamo stare fermi: e dico noi sindacati, ma anche lo Stato, e gli imprenditori. O si dà una risposta di sistema, e la si dà subito, o non ne usciremo.
Il governo Letta, con tutta la sua fragilità in termini di composizione e quindi di ‘tenuta’, può riuscire a dare all’economia la spinta necessaria?
Senza entrare naturalmente nelle questioni politiche che tengono banco anche in questi giorni, come sindacato possiamo dire che una qualche sensibilità sui temi del lavoro in questi mesi l’abbiamo colta. Ora però bisogna passare ai fatti veri, e la parola chiave è sviluppo. Non possiamo cioè continuare a giocare in difesa, ad accontentarci soltanto di ottenere qualcosa in più sul fronte degli ammortizzatori sociali. Che sono sacrosanti, per carità: ma un Paese non può resistere a lungo in cassa integrazione, questo credo sia evidente a tutti. Quindi ci vogliono concretezza, realismo e determinazione.
Da dove cominciare però, per convincere gli imprenditori a crederci di nuovo, e ad investire?
C’è un’unica strada, che è quella della tassazione. Un punto di Irpef in Italia vale più o meno quattro miliardi di euro, è lì che bisogna lavorare. Combattendo l’evasione fiscale, naturalmente, ma anche spostando progressivamente l’imposizione dal lavoro (lato imprese, e lato lavoratori) alle rendite improduttive. C’è poco da fare: se lo Stato italiano per funzionare ha bisogno di circa 900 miliardi di euro l’anno, naturalmente si devono eliminare gli sprechi là dove ci sono, ma è illusorio poter arrivare a 700 miliardi, per fare un esempio, a meno che non si intendano dimezzare i servizi. Che già in molti settori, soprattutto sul fronte sociale, sono scarsi, e andrebbero invece potenziati.
Quindi più Imu, e tasse sui risparmi?
Sì, ma attenzione: non accanendosi su chi ha la seconda casa, o 100-200 mila euro di risparmi. Ci vuole coraggio, bisogna debellare l’evasione-elusione vera, e farlo non solo con accertamenti ‘dal basso’, che poi si incagliano in mille ostacoli procedurali. Se non si cambia l’impianto normativo, non avremo risultati veri.
E le pensioni?
Noi chiediamo al Governo che a settembre rimetta mano alla Monti Fornero. Una riforma ingiusta, che ha creato e sta creando danni ingenti, e che ha cambiato le regole in corsa, dicendo a persone che erano a pochi metri dal traguardo ‘no, ci dispiace, ma la tua pensione non è più lì, è fra tot anni’. Senza considerare peraltro che, così facendo, si mette anche un vero e proprio ‘tappo’ al ricambio generazionale, e alla necessità di innovazione. Speriamo che il Governo Letta questo lo capisca: ad esempio riaprendo il discorso dei prepensionamenti anticipati volontari, con ragionevole penalizzazione. In maniera che ognuno, in base alle proprie personali esigenze, possa scegliere liberamente.
Ma c’è sempre il discorso della macchina pubblica, segretario Ferraris: quella italiana non è inefficiente, e troppo costosa?
Chiariamo: i dipendenti pubblici italiani sono tra i migliori d’Europa, secondo una serie di parametri di valutazione internazionali che non ci siamo inventati noi. Il che però non significa negare che la macchina pubblica, nel suo insieme, abbia ancora larghe sacche di inefficienza. Il problema sta nel modello organizzativo, nelle troppe sovrapposizioni di competenze, nella mancanza di coordinamento: se il Governo decide di metterci mano seriamente, noi ci stiamo.
E a casa nostra? Come si ridà fiato e stimoli all’economia alessandrina, che in questi ultimi anni è finita alla corda, ed è rimasta in piedi praticamente soltanto grazie all’export?
C’è bisogno di una scossa, di nuovi stimoli. Credo che sarebbe un’ottima cosa rieditare il tavolo provinciale del lavoro, con un fondamentale ruolo di coordinamento da parte della Provincia, oppure della Prefettura, e il coinvolgimento di tutti i soggetti territoriali. Ma partendo, molto concretamente, dalle esigenze delle imprese. Cosa hanno bisogno? Banda larga, bretelle stradali, o che altro? Non dico che tutto si possa fare, ma almeno proviamoci. E poi valorizziamo le buone pratiche: ci sono, anche qui in provincia, casi di distretti che, grazie allo sportello comunale per le imprese, funzionano meglio di altri, e in cui appunto la macchina pubblica ha saputo sburocratizzarsi, diventare flessibile a sostegno di imprese vecchie e nuove. Perché le altre città, a partire dal capoluogo, non provano a mutuare quelle esperienze?
Lei ha parlato di banda larga: l’amministratore delegato di Telecom Italia, Marco Patuano, è alessandrino, e si dice sia anche assai disponibile alla presentazione di progetti innovativi. Ma pare che, quando nei mesi scorsi ha partecipato ad un convegno in città, nessuno lo abbia avvicinato e contattato, né quel giorno, né successivamente….
(sospira, ndr) Appunto, cosa vuole che le dica di più sul tema? Possibile che chi guida i principali enti territoriali non comprenda che la banda larga è uno strumento essenziale, tanto per le aziende quanto per i privati? Ne più ne meno come le ferrovie o le strade asfaltate di 100 o 50 anni fa. Eppure ci sono ritardi impressionanti: anche nelle città e nelle aree industriali, non solo nei paesini di montagna…
Terzo Valico: il Ministro ha ribadito agli enti locali (dalla Regione ai comuni interessati) che l’opera è strategica, e si farà…
Ne sono lieto, anche se naturalmente va prestata la massima attenzione agli aspetti di carattere ambientale e di salute, che sono prioritari. Ma che le grandi opere, e non solo il Terzo Valico, debbano essere un motore per la ripresa economica del Paese lo penso da sempre. Naturalmente c’è anche la questione dei tempi: già ritardi ce ne sono stati molti, ora non possiamo calendarizzare un’opera che sarà pronta fra 20 o 40 anni. Dieci anni mi parrebbero un tempo ragionevole. Ma è la carta della logistica, nel suo complesso, che rischiamo di sprecare. Mentre nella nostra provincia stavamo fermi a discutere, e a litigare, nel novarese ma anche nel pavese in questi anni hanno fatto passi da gigante. Il risultato sa qual è? Che non solo non siamo in grado di attrarre nuove imprese, ma rischiamo che una parte delle nostre decida di fare le valige, e spostarsi di cento chilometri, dove le cose funzionano meglio.
Quando pesa, in tutto ciò, l’essere la città e il territorio del dissesto pubblico per antonomasia?
Non dobbiamo farci ingabbiare da questa etichetta, e men che meno rassegnarci. Che le difficoltà del comune di Alessandria stiano ‘segnando’ in negativo pezzi dell’economia del territorio purtroppo è vero. Ma anche qui, se sapremo fare lobby davvero, e in senso sano, e non smetteremo di farci ascoltare, a Roma ma anche a Torino, da questa situazione si può uscire, e si può farlo evitando danni da vera macelleria sociale….
Ossia secondo il sindacato si può risanare Palazzo Rosso, e la sua galassia di partecipate, senza licenziamenti?
Si deve, noi ne siamo convinti. Anche se ci piacerebbe che ci venisse fornito un quadro davvero esaustivo della situazione, azienda per azienda. Per poi ragionare sui numeri e sulle soluzioni, in termini di riorganizzazioni aziendali vere. Coinvolgendo tutte le categorie interessate, e comunque nella certezza che ci siano i margini per lavorare di lima, ad esempio sulla contrattazione di secondo livello, e riuscire ad operare una riorganizzazione che non lasci indietro nessuno.
Un’ultima riflessione sul territorio, segretario Ferraris: negli ultimi tempi abbiamo assistito, e ancor più assisteremo probabilmente nei mesi a venire, a fenomeni di acquisizione di marchi, anche storici, del nostro territorio da parte di famiglie o gruppi stranieri. Di cui spesso peraltro si sa poco o nulla: è un fenomeno preoccupante?
E’ un segno dei tempi, legato alla globalizzazione dei mercati. Io, se ci sono naturalmente le opportune garanzie e la volontà di continuare ad investire sul territorio, non mi scandalizzo se arrivano i cinesi, i coreani o i turchi. L’affidabilità delle imprese va valutata sulla base dei progetti, della capacità di investimento e dalla volontà di dialogo con i lavoratori e i sindacati. Non in base alla carta d’identità nazionale. E aggiungo questo: è arrivato probabilmente il momento di ‘interpretare’ la globalizzazione nei due sensi. Quindi non solo come invasione a casa nostra da parte degli stranieri, ma come nostra capacità di andare alla conquista di nuovi mercati. E in certi casi una proprietà estera potrebbe consentire di aprire nuovi, ampi scenari. E’ una possibilità da non trascurare.
Ettore Grassano