Amore mio non piangere è una canzone delle mondine che ho rispolverato mentre rovistavo tra le cose lasciate da Nonna Maria e che conservo gelosamente in un angolo della casa. Ricorda il lavoro duro delle mondariso che passavano le giornate curve sotto il sole d’estate con i piedi e le mani nell’acqua esposte alle punture delle zanzare.
In questa canzone una mondina saluta il fidanzato che ha conosciuto in risaia e annuncia il suo ritorno a casa. La sentivo appunto cantare quando ero piccolo da Nonna Maria e da Zia Rosa che in gioventù avevano conosciuto il durissimo lavoro della monda quando abitavano in Lomellina, terra d’origine della mia famiglia materna.
In questi luoghi, quando loro erano solite ritrovarsi, con il cappello di paglia per ripararsi da un sole caldissimo, e il cappello di paglia è uno dei simboli delle lavoratrici del riso, andavano a pescare le rane che poi colmavano i piatti golosi di queste zone.
Mangiababi era infatti il termine con cui mio padre scherzosamente apostrofava mia madre per evidenziarne l’origine di gente che ha vissuto una vita con i piedi a bagno.
Le rane adesso sono una rarità oltre che un piatto prelibato. Pesticidi e fertilizzanti hanno azzerato un microcosmo faunistico che difficilmente potremo rivedere, le macchine hanno sostituito il durissimo lavoro della monda ma hanno anche cancellato la storia di un mondo reale e che adesso sembra passato alla preistoria.
Il lavoro della monda si faceva con le mondine, lavoratrici stagionali che, durante l’allagamento dei campi effettuato dalla fine di aprile agli inizi di giugno per proteggere le delicate piantine di riso dallo sbalzo termico tra il giorno e la notte, passavano dodici o tredici ore senza sosta trapiantando in risaia le piantine (trapiantè) e nella monda (mundè)
Ma quali storie sono legate a questo mondo, a questo lavoro durissimo?
Ne parlerò qui, prossimamente, per ricordare Maria Provera, la passionaria delle mondine e la conquista delle otto ore di lavoro, Maria arrestata dai carabinieri insieme al sindacalista medese Eugenio Riba durante lo scontro tra lavoratrici e fittavoli per riconoscere quei sacrosanti diritti che noi oggi diamo per scontati.