Da osteria tortonese con commercio di vino sfuso, ad azienda che vende 4 milioni di bottiglie l’anno, di cui l’80% all’estero. La Cantine Volpi di Tortona si appresta a festeggiare il suo primo secolo di vita, ed è l’attuale titolare, Carlo Volpi, a ripercorrere con orgoglio (e ferrea memoria) le principali tappe che hanno condotto sino ad oggi l’azienda di famiglia. “Era il 1914 quando la mia bisnonna, che era una Cairo, aprì il primo locale in centro a Tortona: un’osteria, in cui si vendeva il vino al bicchiere, o in bottiglia. Fu sempre lei, insieme ai figli Secondo e Giuseppe, a acquistare nel 1920 (abbiamo ancora l’atto originale) una seconda osteria, nel 19020. E già allora si cominciava a parlare di vinaia, e di torchio. Insomma, cominciava l’attività di vinificazione, in cui poi la mia famiglia si è cimentata per tutto il Novecento, continuando anche oggi”.
Cantine Volpi è attualmente strutturata su due sedi, una a Tortona, e una a Viguzzolo, e nel 2004 è stata anche acquistata La Zerba, azienda agricola con 7 ettari di vigneti. Ma è interessante seguire il filo della memoria di Carlo Volpi, attraverso le diverse epoche: “Negli anni Trenta l’attività di famiglia cresce, e viene acquisita una nuova licenza per la vendita del vino sfuso, mentre alla fine del decennio subentrano nell’attività mio nonno, e mio padre, e cominciano a sviluppare il percorso dell’imbottigliamento, con un’ottica commerciale. Ossia: a Tortona tutti avevano, o direttamente o indirettamente, una vigna. Così non era per gli abitanti di città come Genova e Milano, che diventano i nostri mercati: i cittadini venivano ad approvvigionarsi a Tortona, in Oltrepo o a Gavi. All’inizio degli anni Cinquanta, mio padre acquista una nuova cantina, sempre in città, e la commercializzazione si allarga a tutta la Liguria, e al nord della Lombardia e Valtellina. Finché, nel 1957, viene costruita a Viguzzolo una cantina da 10 mila ettolitri, per la vinificazione delle uve dei colli tortonesi. Cui fa seguito, dal 1962 al 1964, la costruzione dell’attuale cantina di Tortona, su 15 mila metri quadrati, e con una capacità di stoccaggio di 25 mila ettolitri”. Per le Cantine Volpi è l’avvio dell’età moderna: “La gestione dell’azienda – continua Carlo Volpi – passa a mio fratello, e a mio cugino Bruno, e nel 1974 c’è un altro snodo lungimirante: la produzione e commercializzazione della prima bottiglia di cortese frizzante doc dei colli tortonesi: 16 anni dopo arriveremo a venderne un milione di bottiglie all’anno. Oggi naturalmente non è più così, e il bianco frizzante non ha più un mercato così ampio: ma è stato un traino importante, che ci ha consentito di crescere e diversificare l’attività”.
Nel frattempo Carlo Volpi subentra nella proprietà dell’azienda, e oggi le Cantine Volpi sono oggi la più grande realtà privata del settore non solo del tortonese, ma probabilmente dell’intera provincia, con oltre 4 milioni di bottiglie vendute un po’ ovunque: “il nostro mercato è sempre più il mondo, e mandiamo all’estero l’80% del nostro prodotto. Non più solo vino dei colli tortonesi (barbera di ogni tipo e gradazione, cortese, timorasso), ma anche i migliori vini italiani. Compriamo uve di qualità un po’ ovunque, dalla Sicilia, alla Puglia, al Veneto. Ed esportiamo in 35 Paesi in maniera diretta, e in altri 10 in maniera diretta. Il nostro mercato più importante oggi è la Norvegia, seguita da Giappone, Germania, Stati Uniti, Svizzera, Svezia”. Basta visitare la cantina di Tortona, in una mattina qualsiasi come è successo a noi, per vedere all’opera la ‘catena di montaggio’: dai macchinari per l’imbottigliamento, l’etichettatura e l’inscatolamento del vino, al magazzino con tutti gli ordinativi in partenza, e le destinazioni più disparate. “Abbiamo 30 dipendenti tra Tortona e Viguzzolo – sottolinea Carlo Volpi – e un agente generale a Canelli, un altro in Svizzera, e uno in Germania. E un fatturato che supera i 10 milioni di euro”. La crisi non si sente? “Si sente, ma più che in termini di fatturato, in termini di marginalità: nel senso che, per non perdere quote di mercato, e anzi per continuare ad acquisirne, a fronte di una concorrenza sempre più agguerrita, si è costretti a fornire il miglior prodotto al prezzo più basso possibile. Naturalmente con tutti i rischi del caso: ma ci sono casi in cui pur di entrare e crescere su certi mercati esteri, si può anche, per un certo periodo, rinunciare al guadagno, per consolidarsi. Del resto, chi come noi ha scelto di non investire in pubblicità, e non ha testimonial o un marchio famoso a livello internazionale, non può che puntare sulla competitività, e sulla massima disponibilità verso i clienti”.
Nonostante ‘l’internazionalizzazione’ dei mercati, il rapporto tra Cantine Volpi e colli tortonesi rimane indissolubile: “Noi siamo tortonesi, lo saremo sempre. Abbiamo sul territorio una quarantina di fornitori, il che significa gran parte dei produttori delle nostre valli. E anche un ottimo rapporto di collaborazione con le altre realtà esistenti: dalla Cantina Sociale, al Consorzio dei Colli Tortonesi; abbiamo ormai compreso tutti, credo, che solo remando nella stessa direzione possiamo riuscire a creare le condizioni perché il mercato cresca, in fatturato ma ancor prima in qualità del prodotto, elemento oggi essenziale”. Eh sì, perché oggi gli italiani devono meno, rispetto ai loro nonni e padri, ma vogliono bere meglio: quindi cercano il vino con un percorso, una storia, una qualità che lascino il segno. “Si consideri – spiega Carlo Volpi – che nel corso di alcuni decenni i vigneti del tortonese si sono ridotti del 70%, ma al contempo è cresciuta enormemente la qualità del prodotto finale: che sia timorasso, cortese o barbera, oggi una bottiglia deve sapere raccontare un territorio, e sedurre. Il timorasso è un bel paradigma: giusto, tra l’altro, decidersi finalmente a chiamarlo Derthona. Bisognava farlo 15 anni fa, per evitare che altri, in altre zone, cerchino di appropriarsene”.
Su un altro concetto il titolare delle Cantine Volpi insiste, ed è la capacità di vendere il prodotto: “fare un ottimo vino, da ottime uve, è essenziale. Ma non basta: è li che comincia la vera sfida: ossia vendere il frutto del proprio lavoro, e venderlo ad un prezzo remunerativo per tutta la filiera. Per questo è essenziale non solo avere sempre la valigia in mano, e partecipare a tutte le principali kermesse del settore: che in Italia vuol dire essenzialmente Vinitaly. Ma è all’estero che si gioca la partita vera. E andarci non basta: noi abbiamo ‘morso il freno’ per anni, prima di imparare a muoverci, a relazionarci. Insomma: per vendere bene bisogna anche investire. Ed è sbagliato lamentarsi troppo per la mancanza di sostegno pubblico. Ben vengano le opportunità generate dalla Camera di Commercio, o dalla Regione. Ma gli addetti ai lavori sanno bene che, in fin dei conti, nessuno può vendere il vino al posto tuo, e neanche sarebbe giusto”.
Ma è vero che negli ultimi anni si assiste ad un forte ‘ritorno’ alla terra da parte di viticultori giovani, magari laureati che decidono di mollare tutto e dedicarsi alle vigne? Carlo Volpi è scettico: “un conto sono Lerner, o D’Alema, o tanti altri volti noti che decidono di investire parte dei loro guadagni nel settore, perché è di moda, e perché magari c’è chi li convince del fatto che l’investimento sarà anche redditizio. Altro è constatare che ci siano tanti giovani che, dopo la laurea, si orientano verso questo settore: non mi pare. Semmai, questo sì, si è interrotta la fuga dalle vigne, e chi le possiede decide di valorizzarle”. Impossibile concludere la conversazione senza un cenno alla vendemmia 2013: come sarà il vino quest’anno? “E’ presto per dirlo – conclude Carlo Volpi – anche se al momento i presupposti per un’ottima annata ci sono tutti. Sarà però decisivo agosto, ci sono davvero tante variabili in gioco, nelle diverse fasi che conducono dal filare alla bottiglia sul tavolo della sala da pranzo, o del ristorante. Noi, questo mi fa piacere sottolinearlo, ci avvaliamo però da cinquant’anni, in maniera ininterrotta, della consulenza e della competenza dell’enologo Giuliano Noé. Un professionista che, nel settore, è da sempre sinonimo di professionalità, competenza e qualità”.
Ettore Grassano