Si aspettava ancora la sentenza della Corte Costituzionale arrivata puntuale il 2 luglio scorso, adesso sembra proprio non esserci più appello: i tribunali cosiddetti minori sono destinati a sparire.
L’ultima speranza era legata al ricorso, presentato anche da otto regioni, con il quale si chiedeva alla Consulta di vagliare la costituzionalità dei decreti presentati dallo scorso Governo Monti contenenti, tra l’altro, le disposizioni con cui si riforma la geografia giudiziaria italiana e quelle per il tanto agognato e sbandierato in campagna elettorale “taglio delle province”. Ebbene, per quanto riguarda le amministrazioni locali, i giudici costituzionali hanno dichiarato l’incostituzionalità, da un lato, dell’articolo 23 del decreto “salva-Italia” che trasformava le amministrazioni provinciali in organismi di secondo livello e, dall’altro, degli articoli 17 e 18 della spending review che disponevano la cancellazione di quelle con meno di 350mila abitanti e un’estensione di 2.500 chilometri quadrati. Invece, per quanto riguarda la soppressione dei tribunali minori, sono stati rigettati tutti i ricorsi tranne quello del Tribunale di Urbino, che pare quindi destinato a sopravvivere.
Se non ci saranno stravolgimenti o proroghe dell’ultimo minuto, quindi, i tribunali chiuderanno ma le province rimarranno. E’ una scelta quanto meno discutibile quella di tagliare la spesa pubblica volendo risparmiare sulla giustizia, l’istruzione e la ricerca, lasciando intatti gli apparati istituzionali, come le province, che sarebbe opportuno invece rivedere e razionalizzare. Ovviamente non se ne può addebitare la colpa alla Consulta, che si è limitata a verificare se i provvedimenti emanati erano compatibili con le regole della Costituzione, ma al Governo Monti prima e al Governo Letta poi. Il Governo dei tecnici, infatti, oltre a non essere riuscito a tagliare i costi della politica, si è prodigato in questi tagli indiscriminati senza verificare dove fossero effettivamente gli sprechi e senza calcolare i costi sociali che questi avrebbero comportato, mentre l’attuale esecutivo ha deciso di lavarsene le mani e non intervenire.
Come è ormai noto, tra i tribunali destinati ad essere soppressi è da annoverare quello di Acqui. Ciò causerà grandissimi disagi in primis ai dipendenti, che si vedranno costretti a spostarsi tutti i giorni ad Alessandria con un conseguente aumento delle spese; in secondo luogo ai cittadini i quali, sia che debbano far valere le proprie ragioni in giudizio, difendersi o semplicemente essere sentiti in qualità di testimoni, dovranno rassegnarsi a buttare via gran parte della giornata. Inoltre non va dimenticato il danno che la chiusura del tribunale arrecherà ai negozianti: si pensi ad esempio ai bar o alle tabaccherie che si vedranno improvvisamente privati degli introiti derivanti dal viavai di avvocati e clienti.
Il trasferimento avverrà a settembre. Anzi, è opportuno continuare a dire “dovrebbe avvenire”, visto che allo stato attuale rimangono ancora parecchie incognite. Ad esempio non si sa se alcuni uffici saranno mantenuti nella loro sede attuale o se tutto sarà trasferito ad Alessandria. Tra l’altro, ad Alessandria dove? Risulta difficile credere che l’edificio che ospita adesso, tra le altre cose, il Tribunale e la Procura della Repubblica abbia spazio per ospitare gli uffici e il personale proveniente da Acqui. Tant’è che nei mesi scorsi si è vociferato riguardo a presunte acquisizioni di nuovi spazi, attualmente in mano privata, con una conseguente cospicua spesa pubblica.
Queste sono le premesse di quanto dovrebbe inevitabilmente accadere a settembre. Fratelli d’Italia si opporrà strenuamente alla chiusura del Tribunale di Acqui Terme e, più in generale, a questa politica di tagli trasversali. Non per mero spirito campanilistico, ma perché essi non solo non producono reali risparmi di spesa pubblica, ma anzi danneggiano le comunità più piccole, già profondamente colpite dalla crisi economica.
Fratelli d’Italia – Acqui Terme