Piazzetta della Lega Lombarda. O meglio, per gli alessandrini, la Piazzetta. Quella con l’obelisco dedicato ai caduti delle guerre di Indipendenza. Proprio quella, dove, in tempi non troppo lontani (anche se gli anni passano in fretta e tutto ci sembra ancora non tanto lontano) durante la settimana, si teneva il mercato delle granaglie. Dove, fino alla fine degli anni settanta, il lunedì mattina, tra il bar Moderno e il bar Borsa, si incontrava ancora lo strascico di una folla di mercanti senza merce, ma la lingua lunga, e un sigaro stretto tra i denti. Erano gli ultimi eredi di un’antica contrattazione, di una confusione apparente, di un preciso rituale con le sue regole, discendenti di quei commercianti e mediatori che si calavano i loro cappellacci di feltro in testa.
Personaggi che hanno chiuso un’epoca, che smorzavano (sempre meno di settimana in settimana) quelle grida che i loro predecessori usavano come strumento per comperare e per vendere. E bestemmiavano quando il prezzo non era buono. Ultimi mattoni di un muro invalicabile di uomini corpulenti con la terra sotto le unghie, in maniche rimboccate e gilet di cuoio, e dal penetrante odore di campagna. Una ressa che teneva a distanza il resto del mondo. Epigoni di una cultura rurale che stordiva la logica cittadina. Testimoni di un’epoca in cambiamento che si sarebbe trascinata via ogni loro ricordo lasciando solo lei, la piazzetta.
Immortale.
Il salotto buono di casa nostra. Dove generazioni di alessandrini si sono incontravano e scontrati. Cuore di ironia, di pettegolezzo, di discussione. Un salotto che però necessitava di un restyling, un termine sdoganato dai parrucchieri negli anni 80 e che mai avrebbero usato i burberi mercanti con il loro spigoloso dialetto sibilato tra le labbra sedendosi sulla poltrona del barbiere. Ma si sa che oggi non si parla più come ieri, grazie alle I di internet e inglese, alla morte dei congiuntivi, alla scomparsa della consecutio temporum, e delle più colorite quanto significative espressioni dialettali che in poche battute fotografano un mondo di personaggi e di comportamenti.
E allora vai con le luci a illuminare l’obelisco (mi sa che le lampadine si sono subito bruciate), a togliere tutto quel porfido consumato da decenni di pedate (ma che fine avrà fatto?) per essere sostituito con un nuovo arredo (qualche panchina e qualche fioriera, tristi come casse da morto, devastate dalle cacche dei piccioni e capaci di far sussultare le anime degli architetti dei secoli passati). E pure con lastre di granito a terra, per risaltare il grigiume delle nostre nebbie. Idee per portare a termine un progetto di altissimo livello (come recitava la pubblicità di alcuni anni fa e per ricordare a persone come me che non sanno apprezzare “l’ALtissimo livello” di certi lavori di recupero architettonico che invece siamo nelle mani di professionisti che ne capiscono). Un salotto buono per gli alessandrini e per attrarre i turisti. Ma terminati i lavori, mi pare che la condizione di degrado sia la stessa di prima. Sporcizia, fughe sparite così velocemente che hanno già trovato riparo oltre i confini della città, spigoli vivi che nessuno, per carità cristiana, ha il coraggio di uccidere, rotture, macchie assorbite da un granito dalla consistenza di una spugna, fastidiose come le medaglie di unto che si cercava di evitare sui quaderni di scuola per non essere bacchettati dalla severità dei maestri, ma che, nel salotto buono di casa nostra, possono essere tollerate. Si sa, i tempi cambiano. E di questi tempi sembra essere in uso pagare con soldi buoni per avere prodotti taroccati.
Risultato, un restauro che non ha resistito una stagione. Nemmeno la frutta, oggi, ha una vita così breve.
E nessun responsabile.
Mi domando: quanto sarebbero felici gli alessandrini se qualche artigiano trattasse allo stesso modo il salotto buono del loro appartamento? Ma soprattutto, chissà cosa ne pensano i fantasmi dei vecchi mercanti che ancora aleggiano sulla Piazzetta della Lega? Forse con la loro “artigianalità” avrebbero consegnato un lavoro più all’altezza delle aspettative? E con i loro toni burberi avrebbero magari strappato un prezzo più conveniente e preteso un risultato finale meno criticabile? Chissà. I tempi cambiano. E i morti non rispondono. A parte casi rari e scomodarli per un giudizio sul restyling della piazzetta mi sembra eccessivo.