La maggioranza di centro sinistra, e le sue fragilità interne. Ma soprattutto Alessandria, intesa come comunità ‘scettica’ per dna, e poco coesa persino di fronte ad un’emergenza come quella che stiamo vivendo, e che ci siamo abituati a chiamare, per semplificazione linguistica, dissesto. Mauro Cattaneo è consigliere comunale del Pd, ma anche da sempre uno che ama pensare con la propria testa. ‘Civatiano’, per i (non molti, in verità) che vivono con interesse l’avvicinarsi del congresso nazionale del Partito Democratico. E parliamo anche di questo, nel corso della chiacchierata.
Consigliere Cattaneo, a che punto è la notte del Comune di Alessandria?
Del Comune e della città direi. Non perché le due realtà coincidano, ma perché Alessandria, come comunità, è gravemente colpita dalla crisi economica e sociale, non meno del suo Comune. A Palazzo Rosso la situazione comunque è critica, per come la vedo io. Che, vorrei chiarirlo, da consigliere comunale ho certo accesso ad un po’ di informazioni di dettaglio in più rispetto al cittadino medio, e magari so le cose un po’ prima. Ma non è che abbia la sensazione di poter fare chissà cosa, se non impegnarmi seriamente nelle singole commissioni e sui singoli temi.
Però è il quadro d’insieme che sa di precario. Per cui magari occuparsi di un tema di dettaglio può sembrare come mettersi a fare le pulizie in una casa che sta crollando…..
Non credo che la casa stia crollando: però mi pare che in tanti, troppi ancora non abbiano la chiara percezione della gravità del momento che stiamo attraversando: soprattutto, scordiamoci che possa arrivare, da qualche parte, la soluzione immediata a tutti i problemi. Speriamo naturalmente che Roma non dimentichi Alessandria: ma siamo noi a doverci salvare, da soli e con un progetto serio.
Partiamo dall’inizio allora….
Sì, ma non ricominciamo per favore a discutere di dissesto sì o no. Il dissesto era nei fatti, nei numeri, e non poteva non essere dichiarato. Il problema, semmai, è che da lì in poi abbiamo fatto poco, troppo poco. Vede, ci sono due questioni essenziali: da un lato l’imponente massa debitoria dell’ente, dall’altra la partita della spesa corrente, abnorme.
Il pregresso prima di tutto: chi ha debiti con il Comune rivedrà mai almeno una parte dei suoi soldi?
L’Organo di liquidazione è al lavoro, gli esperti sono loro. Certamente non dobbiamo dimenticarci che questi debiti ingenti ci sono stati lasciati in eredità dalla gestione Fabbio, per cui adesso assistere ai tentativi del centro destra di ‘cavalcare’ le difficoltà della maggioranza è davvero paradossale. Io credo che i debiti vadano pagati, per evitare il collasso all’economia del territorio. Ragionando al tavolo interministeriale, come sia pur faticosamente mi pare si stia facendo, per individuare termini e tempi del rientro. Un percorso di lacrime e sangue, ma gestibile. Il vero problema è l’altro…
Ossia la gestione corrente: Palazzo Rosso continua a spendere (partecipate incluse), molto più di quello che incassa: ed è su questo punto che si accusa Rita Rossa e la vostra maggioranza di ‘cincischiare’. Anche se, va detto, i sindacati fino a poche settimane fa dicevano l’esatto contrario:ossia che stavate facendo macelleria sociale…
Il punto essenziale è proprio questo: il Comune parte da uno squilibrio annuo di 25 milioni di euro, che va assolutamente eliminato. E non si tratta solo di risparmiare sulle fotocopie, i telefoni, il riscaldamento. Non basta, perché gran parte delle risorse dell’ente sono destinate al pagamento del personale. Partecipate comprese, naturalmente. Per cui da un lato la riorganizzazione avviata dalla giunta, e in particolare dall’assessore Ferraris, è un percorso inevitabile. Dall’altro si devono assolutamente salvaguardare i lavoratori. Dietro ognuno di loro c’è la storia di una famiglia: e non poche volte ci sono coppie in cui entrambi lavorano in comune, o nelle partecipate. Insomma, la macelleria sociale è un rischio reale, e va assolutamente evitato.
Perché dice che la comunità non è ancora consapevole della gravità della situazione?
E’ una mia percezione, che peraltro ho condiviso con qualche amico, con altri osservatori cittadini, diciamo così. Mi pare, soprattutto, che nonostante l’emergenza continui a prevalere l’individualismo alessandrino, cinico e disincantato. E che i tanti portatori di interesse (associazioni di categoria, rappresentanze sindacali e quant’altro) continuino a giocare tante partite singole, senza fare squadra. Insomma, per farle un esempio concreto: a me pare assurdo che da un lato si accettino senza fare una piega i 15 licenziamenti dei dipendenti della Fondazione Tra, e dall’altra si puntino i piedi per difendere la quattordicesima dei dipendenti Amiu. Mi piacerebbe che ci fosse una maggior solidarietà tra lavoratori.
C’è però anche un’Alessandria extra comune, diciamo così: che soffre, ma che in diversi casi reagisce, propone, fa….
Per fortuna è così, e mi fa piacere ricordare alcune esperienze, molto concrete e al tempo stesso simboliche. Mi riferisco, ad esempio, al progetto RilanciAmo Alessandria, che certo non può da solo cambiare il volto della città, ma ha dato un forte segnale di partecipazione, e di pragmatismo. Ma penso anche all’esperienza di Lab 121, che ha visto l’aggregazione, in poco tempo, di circa 400 free lance, legati a mestieri e professioni diverse, capaci di fare davvero squadra, in un’ottica solidale, e al contempo basata sul fare, sull’agire. E poi la Ristorazione Sociale, che partendo dal recupero di uno spazio abbandonato è diventata un punto di riferimento, enogastronomico ma anche culturale e solidale, per tantissime persone. Così come va ricordato il ruolo in città della Casa di Quartiere di via Verona, che fa riferimento alla comunità di Don Gallo. Cos’hanno in comune, queste come anche altre esperienze? Direi la forza, l’energia, la voglia di fare di una generazione di under 40 che ha molte meno ‘tare’ e preclusioni delle generazioni precedenti, a cui io appartengo. E naturalmente anche meno garanzie acquisite: per cui per forza e per passione si mettono in gioco, progettano una città diversa, e un utilizzo pubblico, sociale, di spazi privati che è davvero molto interessante.
Intanto però, consigliere Cattaneo, non passa settimana senza che sulla maggioranza non cada qualche tegola: la vicenda Amiu e le ‘tensioni’ con i Moderati sono solo gli ultimi esempi. Ce la farà Rita Rossa a proseguire il suo mandato, o getterà la spugna?
Rita finora ha messo in campo tutta la sua determinazione, e il suo carattere. Non credo sia auspicabile che getti la spugna proprio ora: anche se naturalmente questa è una maggioranza fragile, e le opportune verifiche fanno fatto, e credo siano in corso.
Parliamo del Pd? Lei, insieme ad altri in città, è un sostenitore di Pippo Civati, che è per ora l’unico candidato ufficiale alla segreteria nazionale. Un eterno outsider?
Non lo so. Posso dirle che ci siamo riuniti da poco per un week end di lavoro a Reggio Emilia, e Pippo è davvero una persona seria, preparata, rigorosa. E uno che non fa mai lo ‘spaccone’, anche se oggi va di moda (qualsiasi riferimento a Matteo Renzi è forse non proprio involontario, ndr). Lui la sua candidatura l’ha presentata, ora aspettiamo che siano formalizzati gli altri nomi. Quelli che girano sono noti peraltro: Renzi, Cuperlo, lo stesso Epifani. Vedremo: oggi il Pd è un naufrago in mare aperto, e questo governo delle larghe intese mostra i propri limiti ogni giorno di più: siamo arrivati al punto da farci dare lezioni sulla detassazione del lavoro dal Fondo Monetario Internazionale, è tutto dire. Abbiamo passato gli anni ad inseguire Casini, e poi Monti. E soprattutto fingiamo di ignorare un elemento essenziale, che è la progressiva fuga dell’elettorato potenzialmente di centro sinistra, che sempre più si astiene, o vota Grillo. Alle ultime politiche il premio di maggioranza ci ha regalato un numero importante di deputati e senatori, ma quanti voti abbiamo perso, in termini assoluti? E anche Rita Rossa, lo scorso anno, ha vinto con meno voti di quelli che prese Mara Scagni nel 2007, sconfitta da Fabbio. Sono tutti elementi su cui riflettere, prima che sia troppo tardi.
Ettore Grassano
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