Lavoro: più flessibile di così? [Controvento]

Giovannini Enricodi Ettore Grassano.

“Lavoro più flessibile di così? Ma questi sono pazzi..”. Ieri mattina un mio amico, uno di quelli che un’occhiata ai giornali cartacei la danno ancora, mi ha chiamato per prenderci un caffè, ed era imbufalito per un’intervista del ministro del Lavoro, tale Enrico Giovannini (nella foto), che dalle pagine de La Stampa dava la sua ricetta: più flessibilità, formazione, il ruolo degli uffici provinciali del lavoro, e via dicendo.

Insomma, la solita aria fritta. “Questi non hanno mica ancora capito nulla”, dice il mio amico, piccolo imprenditore. E ci beviamo un caffè amaro, anche se zuccherato. Poi, per fortuna, si parla d’altro.

Ma, insomma, l’impressione che noi gente comune abbiamo è che il Governo Letta, o Monti bis, non sappia davvero che pesci pigliare per ridare fiato al Paese. Nei mesi prossimi, lo sappiamo tutti, arriverà una nuova raffica di aumenti fiscali e tassazioni dirette e indirette. Si parla, a mezza voce, di una botta tra i 12 i 20 miliardi di euro, mica bruscolini. Ma non sarà quello certo il modo per salvare la baracca, anzi.

Così come, a parlare di maggiore flessibilità nei rapporti di lavoro, oggi si fanno incazzare, per primi, gli imprenditori. Che sanno benissimo che i loro dipendenti (vecchia guardia esclusa, ma nel privato neppure poi tanto) vivono nella precarietà quanto loro, e la strada non è certo quella di renderli ancora più appesi ad un filo. Siamo già ai contratti da week end, e rinnovati ogni due mesi: di quale cavolo di ulteriore flessibilità parla l’ultra garantito Giovannini? Da ex presidente Istat, probabilmente è più a suo agio con le statistiche che con la realtà quotidiana.

Quella realtà che vedrà, entro fine 2013, la chiusura di un numero impressionante di attività (medie, piccole e piccolissime) che stringono i denti da anni, che hanno ristrutturato tutto quel che potevano, e che fanno i conti da un lato con il lavoro che manca (o non viene pagato dopo che è stato eseguito: se il cliente è italiano, pubblico o privato, il rischio di insolvenza è altissimo), e con una fiscalità insostenibile.

Le strade per non alzare bandiera bianca quindi solo solo due: o si va verso una defiscalizzazione davvero forte, da ‘choc di sistema’, o alla fine si tornerà a far capire agli italiani ‘fate quel volete e potete, in nero, ma fatelo’. Insomma, a dar ragione al Berlusca, che da uomo pratico questo consiglio ai disoccupati lo dava già parecchio tempo fa.

Ovviamente la strada sana da imboccare è la prima: defiscalizzazione vera, importante, e non truffaldina. Con semmai maggior tutela per i lavoratori dipendenti (a cui il salario netto andrebbe aumentato, e non diminuito come sta succedendo con i vari contratti di solidarietà). Ma è un percorso che va accompagnato da un altrettanto importante ‘taglio’ della spesa pubblica, ovvero della macchina statale e degli enti locali. A tutti i livelli. Questa però sembra una mission impossible per chiunque, allo stato dei fatti.

Quindi probabilmente andremo avanti così: con un altro giro di vite sulla parte del Paese che non può ‘sfuggire’, deprimendo al contempo qualsiasi reale intenzione di investire, di fare, di rischiare. Ma quanto possiamo reggere ancora?

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