Sono una delle vere (e non numerose, tutto sommato) eccellenze del nostro territorio, e un polmone economico di primo livello per l’acquese. Eppure quando si parla di Terme di Acqui lo si fa per sollevare dubbi e polemiche sul futuro della struttura, più che per riflettere sulle sue potenzialità. Il presidente Roberto Molina (nella foto) ha più volte ribadito di essere contrario a qualsiasi ipotesi di vendita (“che poi sarebbe svendita, di questi tempi”) ai privati, ed è in totale sintonia con la Regione Piemonte, principale azionista di riferimento. Mentre il socio di minoranza, comune di Acqui, pare di orientamento differente. Proviamo a farci raccontare da Molina (di Castellazzo Bormida, ma da sempre ‘innamorato’ di Acqui) qual è il contesto economico del settore, e quali le potenzialità delle ‘regie terme’, e il loro futuro.
Presidente Molina, perché questa improvvisa ‘tensione’ attorno alle Terme? E le cose vanno così male da dover pensare ad una svendita?
Assolutamente no, e vorrei chiarirlo con qualche dato riferito al settore. La situazione delle Terme di Acqui non è diversa da quella di molte altre stazioni termali. Faccio parte tra l’altro del direttivo nazionale di FederTerme, e tutto il comparto sta perdendo per strada, nel corso del 2013, circa il 10% del fatturato. Per tanti ragioni, e per la mancanza di una politica ‘di sistema’. In Francia il settore cresce del 5% l’anno, perché lo Stato ha deciso di investire in questa direzione, consapevole del fatto che si tratta di un ‘motore economico’ per i territori che ospitano strutture termali. In Italia basterebbe un investimento di 200 milioni di euro per risanare e rilanciare tutto il settore, ma non fa nulla. Per cui abbiamo un’ecatombe: Montecatini, Chianciano, Salsomaggiore, Fiuggi: sono tutte realtà a vario titolo in crisi. E a Salice Terme, non lontano da noi, la scelta di cedere la quota di maggioranza ai privati ha dato il via ad un processo che proprio di risanamento non mi pare sia stato, considerata l’attuale situazione di grande difficoltà.
Ci dia qualche dato sulle Terme di Acqui: il più possibile aggiornato…
Nel 2012 abbiamo avuto un fatturato di circa 4,9 milioni di euro, di cui 2,6 da attività legate alle cure termali, e il resto da rendite prodotte dal nostro patrimonio immobiliare, che è imponente, e va dal Grand Hotel Nuove Terme (con i suoi 30 mila metri quadrati in pieno centro ad Acqui, perfettamente ristrutturato), a tante altre strutture immobiliari cittadine, come l’Eden Carozzi, o l’ex Lavanderia di era fascista. E vale certamente la pena citare il Grand Hotel Antiche Terme, che fu fino alla chiusura del 1986 una vera e propria Versailles acquese, con illustri ospiti internazionali, tra cui lo statista inglese Winston Churchill. Ora la struttura è in dismissione, e per rilanciarla servirebbero forse 15 milioni di euro. Ma è una struttura incredibile, sia per valore di mercato che culturale. Una perizia del 2008 parlò per le Terme di un patrimonio immobiliare dal valore di circa 60 milioni di euro: e anche se occorre tener conto della crisi, è chiaro che svenderlo per qualche decina di milioni sarebbe una scelta tragica.
Quanti dipendenti avete, e quanti clienti?
I dipendenti a tempo indeterminato sono 22, a cui va aggiunta una settantina di stagionali. E sottolineo che si tratta di persone che hanno davvero una professionalità elevata e specifica. Abbiamo circa 25 mila clienti l’anno, che quest’anno caleranno, in linea con il trend nazionale. Ma noi dovremmo riuscire ad attenuare il calo complessivo del fatturato, stabilizzandolo intorno all’1%, grazie ad un maggiore afflusso alla nostra Spa, il Lago delle Sorgenti. Ma vorrei evidenziare che quando si parla di strutture come la nostra, bisogna considerare il fatturato generato in maniera indiretta, ossia la ricaduta positiva, per Acqui e dintorni, generato dall’arrivo di quelle 25 mila persone.
Il calo della clientela, da voi come altrove, può essere dettata dal fatto che la sanità risparmia sulle prestazioni, ossia i medici di base riducono al minimo le prescrizioni termali?
(sorride, sospira e poi risponde) Diciamo questo: certamente noi siamo una stazione termale serissima, di alto livello, e al tempo stesso siamo una vera struttura sanitaria. Nel senso che ci sono tanti disturbi fisici, di varia natura, che davvero si possono curare senza ricorrere a medicinali, complessivamente forse anche più onerosi per il sistema sanitario nazionale. Ma qui mi fermo. I medici fanno il loro mestiere, e noi talvolta li invitiamo anche volentieri a visitare la struttura, per mostrare loro le sue potenzialità.
Presidente, parliamo della proprietà delle Terme: e di cosa succederà di qui a breve….
Volentieri, ma partendo da un piccolo excursus nel passato. Le regie Terme di Acqui furono regalate al comune da Vittorio Emanuele I nel 1869. Nel 1939 il comune di Acqui le vendette allo Stato, e nel 1992 ne tornò proprietario al 45%. Mentre il 55% fu assegnato alla Regione (che ad un certo punto, per ragioni di gestione finanziaria, le ha passate a Fin Piemonte). Da allora ad oggi è stata solo la Regione, oltre alla Comunità Europea, a fare investimenti sulle Terme. E parliamo di circa 40 milioni di euro, salvandole tra l’altro dal fallimento nel 2003. Per questo il comune è sceso oggi al 16,9% della proprietà, e il sindaco Bertero continua a sostenere di voler vendere le sue quote al più presto.
Probabilmente esistono anche dei vincoli di legge, legate alle partecipazioni non strategiche dei comuni: ma, in ogni caso, al di là di tanti proclami, il bando di gara ancora non si è visto. Per quanto mi riguarda, sono in perfetta sintonia con il presidente della Regione Cota, e con l’assessore regionale alessandrino Riccardo Molinari (che negli ultimi anni si è prodigato davvero molto per dare un futuro alle nostre Terme, e rappresenta per noi un riferimento importante a Torino). Ossia credo che vendere le Terme ai privati sarebbe una follia: non solo perché si finirebbe per svendere sotto costo un patrimonio pubblico, ma anche perché mentre noi facciamo da vòlano ai privati che operano sul territorio, una proprietà privata delle Terme, con propri anche legittimi obiettivi magari diversi da quelli attuali, rischierebbe di affondare tutta la filiera territoriale.
La strada è quindi quella dell’affitto della struttura, ma conservandone il controllo?
L’intenzione della Regione, socio di gran lunga maggioritario, è muoversi verso un bando ‘ponte’, di gestione biennale, per poi individuare, con un bando europeo trentennale, un privato, o una cordata di privati, capaci di garantire una gestione moderna e innovativa, ma facendo in modo che la proprietà degli immobili (e dell’acqua, non dimentichiamocelo) rimanga assolutamente pubblica.
Ettore Grassano
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