Grandi botteghe degli orrori [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana.

Il vuoto sopra. Un vortice di nulla si avvita attorno ad una scala che porta al piano superiore. Riflessi nelle vetrine vuote. Locali abitati da ombre e penombre. Al piano terra qualche vaga forma di vita. Poche le attività commerciali che hanno provato a investire nel vecchio mercato coperto di via San Lorenzo. Ma chi se  lo ricorda? Senz’altro in tanti. Un angolo di vita cittadina che si è visto trasformare in uno spazio commerciale, dai sostenitori (all’epoca del progetto) definito innovativo. Ovvero, un esempio all’avanguardia, piantato su solide basi di pretese architettoniche. Al contrario, le critiche del tempo ne sottolineavano lo spirito di arrogante convinzione amministrativa del saper segnare una svolta anche culturale nella gestione della città.

Il dato vero è stato che, anziché andare a pescare (e magari copiare, che non sempre fa male, dettagli e funzionalità) nel variegato panorama architettonico di mercati coperti (spesso incontrati nei nostri viaggi in Europa in piccoli e grandi città), si è preferito brindare ad una nascente idea di città da bere. E come spesso succede in questi casi (molte sono le testimonianze che potrebbero essere portate sui restauri degli ultimi anni) l’idea si è sbriciolata sommersa dalle sue stesse  intenzioni e aspettative un attimo dopo la posa dell’ultima pietra. Lasciando la traccia scivolosa di una logica imperante che forse ha condizionato l’approccio, e che ha spalancato le porte, a una nuova età del commercio. Basta con una tradizione che ha poco di scintillante, basta con frutta, verdura, pesce, salumi e quant’altro rendeva un mercato di questo genere luogo per nutrire la quotidianità grazie a un concerto di  colori e odori. Apriamoci allo sfarzo. Facciamo luccicare gli occhi. Facciamo volare i prezzi alle stelle. Scelte perfettamente in linea con la tendenza più generale di una società portata all’esasperazione dell’apparire.

Subito dopo è scattato lo scempio culturale (mascherato da grande distribuzione e da affari non sempre trasparenti) che ha investito le nostre abitudini trasformandole radicalmente, grazie a una realtà rarefatta di supermercati e ipermercati, squarci di città dentro la città dove il consumo di merci si contamina con il tempo libero, con passeggiate tra luci artificiali e alberelli di plastica, panchine tra una vetrina e l’altra, luoghi al limite del surreale dove l’industria cinematografica e letteraria d’oltreoceano ha ambientato storie di mondi orrorifici. In più lo scintillante francishing che spazia nei locali del centro città ha spersonalizzato qualunque tipo di rapporto tra merce e acquirente.

Insomma, addio bottega. Oggi si aggiunge pure la crisi a svuotare i locali del centro e per il commercio cittadino sembra non esserci alcuna rete di protezione, né tantomeno la motivazione dei gestori a proseguire con le attività. Ma c’è chi resiste al tempo, ai cambi di atteggiamento, ai progetti faraonici finiti in una bolla di sapone. Chi si oppone agli assalti frontali di un’economia allo sbando che sta perdendo i suoi connotati originali. Forse, il merito, è delle solide radici che tengono queste stesse attività aggrappate alla propria realtà territoriale. Radici abbarbicate a fondo, ben nutrite dal tempo e dalla passione dei singoli proprietari, consolidate in momenti lontani.

Solo un esempio. Un omaggio a una trinità amico-scrittore-commerciante. A chi ha fatto diLa bottega dell'erborista un mondo orrorifico la propria ragione di vita, senza cedere all’attrazione fatale del mega centro commerciale. La Bottega dell’Erborista più conosciuta in città. Anche da un pubblico di lettori e scrittori. Posizionata da più di trent’anni all’angolo tra via Trotti e via Legnano, l’oscuro antro di Danilo Arona e famiglia, uomo dedito alle pratiche magiche della mitologica Mandragola. Una bottega che lo stesso Danilo definisce ultimo bazar di una città morente dove trovare le pentole rituali per il Palo Mayombe, e stecche di vaniglia del Madagascar, cereali riemersi dal passato come la cicerchia e il kamut, le sigarette di eucalipto, l’unto del Mago Abacuc, il siero di vipera, i capperi rossi di Salina, l’estratto di corno di cervo e la polvere di uova di coturnice. Parole usate da lui proprio nel racconto Involtamento, presente nell’antologia La Bottega dell’Erborista edita da Delmiglio editore presentata lo scorso sabato nella rassegna dedicata ai pomeriggi in via Bergamo.
Un’occasione per riflettere su una natura più vicina a generare materiali per usi telematici che non per rasserenare lo spirito e nutrire il corpo. Una raccolta di venti novelle, ognuna ispirata a una specifica erba officinale, alle sue peculiari caratteristiche curative ma anche, e soprattutto, alle tipiche proprietà venefiche, attraverso un percorso che si snoda attraverso i secoli, a partire dall’anno mille fino ai nostri giorni, in un mosaico di storie avvincenti e originali. Oltre a quattro autori alessandrini (Danilo Arona, Rossana Massa, Enzo Macrì e il sottoscritto)  la schiera di scrittori presenti nella Bottega dell’Erborista comprende anche  Giuliana Borghesani, Cosma Brusco, Anna Capozzo, Agostino Contò, Simona Cremonini, Luca Ducceschi, Federico Fuggini, Enrico Gregori, Arnaldo Liberati, , Enrico Martini, Rosanna Mutinelli, Donatella Righi, Vittorio Rioda, Nicola Ruffo, Filippo Tapparelli, Gelmino Tosi, Martina Trevisan.