E’ un periodo ‘vivace’, per il presidente della Fondazione CrAl Pierangelo Taverna.
Nel clima di generale emergenza che aleggia in città in queste settimane, non si sottrae al confronto, e anzi in qualche occasione pubblica (come il recente incontro dibattito organizzato dal Psi) non ha mancato di richiamare alcuni soggetti istituzionali alle loro responsabilità, ribadendo che “la Fondazione ha sempre fatto, e farà, la propria parte fino in fondo, ma non intende, e per statuto neppure potrebbe, sostituirsi ad altri, cui spetta il ruolo di guida e di ‘cabina di regia’ del territorio”. Lo incontriamo per una chiacchierata a tutto campo, che non può che prendere spunto dal futuro economico e sociale di Alessandria e del territorio circostante, oggi più che mai bisognoso non solo di analisi, ma di interventi risolutivi.
Presidente Taverna, partiamo dalla crisi, naturalmente: cosa può fare la Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria?
In primo luogo continuare a svolgere il compito di sempre, ossia garantire, attraverso le proprie risorse, determinati livelli di erogazione, sostenendo una serie di progetti, in buona parte pluriennali, e quindi già avviati. Ma anche intervenendo ex novo là dove sia necessario, soprattutto sul fronte delle emergenze sociali. Abbiamo un patrimonio di circa 320 milioni di euro, con partecipazioni in Banca Popolare di Milano e in Banca di Legnano, e una serie di altri asset sul mercato azionario. L’andamento non positivo dei mercati e di alcuni dividendi ha ‘toccato’ anche noi, come tutti. E siamo stati costretti a ridurre le erogazioni a supporto del territorio dai 6 milioni del 2011, ai circa 4 del 2012, ai 2 milioni e mezzo di euro di quest’anno. Questo perché essere prudenti è assolutamente indispensabile: ma abbiamo ancora rinforzato il nostro apposito fondo erogazioni, che è passato dai 12 milioni di euro del 2009, ai più di 20 attuali. Il che significa avere le spalle coperte anche per gli anni a venire.
Come intervenite, concretamente, sul territorio? Ossia come vengono spesi i 2 milioni e mezzo di euro?
Più o meno i 4/5 sono destinati a progetti pluriennali, per cui si tratta di un sostegno continuativo. Penso ai mantenuti impegni con l’Università (250 mila euro), con il comune di Alessandria sul fronte istruzione (circa 400 mila euro), o al contributo di 100 mila euro per il recupero del Castello di Casale Monferrato (nell’ambito del progetto Casale capitale del Freddo, a supporto quindi di quel comparto dell’economia). Poi ci sono circa 500 mila euro destinati a progetti di terzi, che vengono valutati con molta oculatezza, privilegiando il settore socio-assistenziale, la ricerca e le attività che hanno ricadute immediate di tipo occupazionale. Ci rendiamo perfettamente conto che è più che mai quella, oggi, la vera priorità.
Facciamo qualche esempio concreto?
Lo scorso anno ci fu un vero boom di emergenza abitativa, e attraverso il comune di Alessandria sostenemmo la Caritas, e la messa a punto di alcune stanze all’interno delle loro strutture ricettive. Quest’anno stiamo sostenendo, all’interno dell’area dell’ex ospedale psichiatrico, la realizzazione di un centro di accoglienza per donne maltrattate. E, su un altro fronte di emergenza, non ci tiriamo indietro nel finanziamento delle spese per la cassa integrazione in deroga. Sono convinto che, negli anni a venire, sarà sempre più necessario il nostro intervento sul fronte del welfare, in un’ottica di integrazione rispetto all’azione della mano pubblica. Cercheremo di essere sempre più presenti là dove più c’è bisogno.
Sul fronte sanità avete già esperienze importanti, a partire dal Centro Borsalino….
Assolutamente sì, e intendiamo continuare: è una struttura di vera eccellenza, e chiunque ne abbia beneficiato, per qualche famigliare, sa bene quanto sia indispensabile in certi momenti. Ma continua anche il nostro impegno sul fronte dell’Ospedale di Alessandria, per dotarlo delle migliori attrezzature e strumentazioni, come è accaduto sul fronte della chirurgia robotica.
Presidente, veniamo alla criticità vera di cui tanto si discute in queste settimane: ossia il rilancio economico dell’alessandrino. Davvero dobbiamo rassegnarsi alla decadenza?
Ma neanche per sogno, dipende solo da noi. Attraverso la Fondazione Pittatore abbiamo sviluppato un Forum pluriennale, per la valorizzazione del Monferrato in un’ottica, appunto, di sviluppo economico. Ci siamo affidati ad un advisor esterno, di comprovata professionalità, come lo Studio Ambrosetti, proprio perché volevamo che fosse un soggetto esterno, super partes e qualificato, ad analizzare la situazione, e a mettere sul piatto consigli, ipotesi, possibili soluzioni e opportunità. Ebbene: chi ha seguito la presentazione dei lavori, e ha letto la pubblicazione ad essi collegata, sa che il quadro emerso evidenzia ritardi e occasioni perse, ma soprattutto si concentra sul futuro, su quel che davvero si può, e dovrebbe, fare per ridare fiato all’alessandrino, sul piano economico e occupazionale.
Adesso però qualcuno passerà all’azione, o tutto rimarrà materiale di riflessione, fino al prossimo convegno?
Il rilancio di un territorio è un processo articolato, che coinvolge diversi soggetti, ognuno dei quali è chiamato a fare la propria parte. La cabina di regia, di cui si sta parlando spesso di recente, non può farla la Fondazione, ma è di competenza degli enti locali, Provincia e Comune in primis. E naturalmente un ruolo prioritario può e deve averlo anche la Camera di Commercio. Noi siamo ben lieti di mettere a fattor comune i risultati degli studi sin qui emersi, e naturalmente di contribuire a sviluppare dei progetti concreti, se ce ne saranno.
Ma se guardiamo a quel che è successo finora sul fronte logistica, terzo valico, crescita di infrastrutture tecnologiche, verrebbe da etichettarci come il territorio delle occasioni perse….
Lo so bene: anche se preferisco guardare avanti, alle opportunità che ancora si possono cogliere, piuttosto che esercitarmi nella critica sterile del passato, che genererebbe solo polemiche inutili. E’ indubbio però che, se Alessandria e il territorio sono nelle condizioni che sappiamo, la classe dirigente locale, politica ma anche imprenditoriale, non può chiamarsi fuori: anzi…Mettiamoci, concretamente, nei panni di un’impresa: guardando la cartina geografica, l’alessandrino presenta diversi motivi di attrazione, perlopiù appunto legati alla sua collocazione naturale. Ma non basta: se non crei le infrastrutture, se non fai in modo che gli enti locali possano diventare interlocutori efficienti, capaci di risolvere problemi e semplificare, anziché ‘respingere’ con procedure burocratiche, è chiaro che sperare in nuovi insediamenti diventa illusorio. Ma solo sviluppando l’economia si possono incrementare sia l’occupazione, sia l’introito di risorse sul fronte fiscale.
Questo succederà, secondo lei? Oppure ad un giovane alessandrino si può solo consigliare di fare la valigia e partire?
I tempi e la qualità del rilancio dell’alessandrino dipendono certamente da elementi generali, legati alla situazione del Paese. Ma anche da noi: siamo un territorio (e non solo ente comune) in default? Significa che da un lato dobbiamo razionalizzare le spese, e anche riqualificare i lavoratori, pubblici e privati, in rapporto alle nuove esigenze del mercato. Ma anche che, dall’altro, vanno create le condizioni per un nuovo sviluppo. Quanto ai giovani, non sottovaluto le loro difficoltà: ma vorrei ricordare loro che ogni generazione ottiene sempre ciò che riesce a conquistarsi. Non si pensi che per la mia generazione, per fare un esempio, sia stato tutto facile, e che i risultati siano arrivati senza sforzo. Il punto non è quindi tanto restare o partire, quanto in ogni caso rimboccarsi davvero le maniche e darsi da fare, senza aspettare che arrivino particolari aiuti da nessuno.
Presidente Taverna, la banca del territorio è ormai un mito da archiviare, opotrebbero aprirsi nuovi scenari?
Certamente la situazione non è più quella di vent’anni fa, e neppure di dieci. Quello con Bpm fu, all’epoca, un matrimonio d’interesse, dettato da un insieme di regole e normative che imponevano la scelta di un partner di quel tipo. Per amore, non lo abbiamo mai negato, noi saremmo andati altrove, e diciamo pure con Asti. Ma, anche se lo scenario è completamente cambiato, rimane evidente che il rapporto che si deve avere con la clientela in provincia è diverso da quello che si può avere in una grande città. Per sintetizzare: a Milano vendi i prodotti, bancari e finanziari. Qui, o nei tanti piccoli centri del nostro territorio, vendi la qualità di una relazione personale. E se pensiamo che ai tempi della Cassa di Risparmio il correntista al direttore o all’impiegato della piccola filiale portava le uova fresche, mentre oggi si sente chiedere ogni volta i documenti da addetti diversi, che ruotano in continuazione, ci rendiamo conto che qualcosa si è perso davvero, o non ha funzionato. Aggiungo solo che, come noto, nel caso in cui Bpm decidesse di mandare in soffitta il logo CrAl, lo stesso tornerebbe in automatico alla Fondazione. Ma un logo, è evidente, non è una banca. Intanto però ci siamo accordati con il presidente di Bpm, Andrea Bonomi, perché dopo l’incorporazione di Banca di Legnano in Popolare di Milano gli sportelli da noi tornino ad essere Cassa di Risparmio, Gruppo Bpm. E’ un primo passo di riavvicinamento al territorio.
Ettore Grassano
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