Il Maestro, tra i più grandi, ci ha appena lasciati. E, non avendo tempo né voglia di produrre il solito “coccodrillo”, mi limito a riproporre una recensione che uscì su PULP un paio d’anni fa a proposito del suo libro Altri Regni (Fanucci editore). In forma molto ridotta ed essenziale, ma credo ci sia quasi tutto lo scrivibile su questo gigante della letteratura tout court.
Non passa mese negli ultimi tempi che l’importanza di Richard Burton Matheson, ottantacinque anni appena compiuti, a monte del gotico moderno venga riconfermata da quel che appare sugli scaffali e da quel che si vede al cinema. Tutti i best-seller apocalittici, quelli per capirci da “ultimo uomo sulla Terra”, devono ad esempio fare i conti con il monumentale Io sono leggenda, ripreso quasi alla lettera dal recente, fortunato Apocalisse Z di Manuel Loureiro. Dopo aver fornito ispirazione allo stesso King e a vari filoni del fantastico (camion assassini, baby killer, case infestate, tubi catodici viventi e revenant metropolitani), la narrativa del Grande Vecchio si è andata spostando su terreni più ibridi, ai confini con il fantasy, la fantascienza e quello che gli anglosassoni definiscono “romantic suspense”, di sicuro divertendosi un mondo a scombinare le aspettative dei fan. In realtà Matheson è sfaccettato sin dagli esordi negli anni Cinquanta quando alternava racconti horror dallo stile secco e incisivo a romanzi noir e reminiscenze belliche, queste ultime condensate ne I ragazzi della morte, titolo prima o poi da riscoprire. E l’arte del sapiente mix si dispiega per tutte le pagine di questo delizioso Other Kingdoms, che certo è anche un romanzo sulla vecchiaia di uno scrittore di “romanzacci” horror (Alex White sotto lo pseudonimo di Alex Black) intento a raccontare l’epifanica esperienza che lo introdusse alla fine della Grande Guerra nel mondo della narrativa, ma è soprattutto un manuale di consultazione per i contemporanei praticanti del crossover. Parte come un convincente racconto di guerra, si trasforma in un mistery, si immerge in un’atmosfera fantasy con tanto di fate e boschi elfici e divaga alla grande tra pulsioni erotiche e magia nera. E fa paura. Con una prosa al solito lucidissima, priva del minimo fronzolo, che ti “butta dentro” alla terza riga. Senza dimenticare le riflessioni, inevitabili data l’età del nostro, sulla vita e sulla mission dello scrittore. Con ironia ai massimi livelli, anche se amara. Perché quelli come Matheson, più di altri, riflettono sull’ombra lunga del Capolinea. E ne fanno artistico testamento.
Non fa piacere rileggere queste ultime righe. Soprattutto a botta calda della triste perdita. Ma sono certo che, se potesse dalla finestrella di qualche altro regno, sbirciare tra le facezie del Superstite, Richard sorriderebbe. Era uomo di sublime ironia, pari all’intelligenza e alla sua diabolica capacità di sintesi letteraria. Nessuno come lui dopo di lui.
Stampa