“La politica a casa mia è sempre stata di casa, con mio zio e mio padre. E io stesso ho cominciato ad impegnarmi in prima persona ormai vent’anni fa. Ma parlo davvero di una politica vissuta come servizio alla tua comunità, anche se so che oggi può apparire retorica, o opportunismo”. Molto dipende anche da chi, e come, fa certe affermazioni, in verità: e Domenico Ravetti, Mimmo per gli amici, da nove anni sindaco di Castellazzo Bormida e da poche settimane segretario provinciale del Partito Democratico, ha l’aspetto e i modi della persona perbene (ragazzo verrebbe da dire: ma ragazzo non è certamente più, con i suoi 43 anni), a cui si crede senza difficoltà. Anche perché ricopre in questo momento due ruoli (segretario di partito, e amministratore locale) tra i più ingrati “su piazza”, sempre al centro del mirino, e quasi sempre per responsabilità altrui.
Segretario Ravetti, del Pd e della sua segreteria parliamo dopo. Partiamo dalla sua esperienza di amministratore locale: anche perché è anche significativo cercare di ‘legare’ tra loro i due aspetti del suo percorso pubblico…
Sono sindaco di Castellazzo Bormida, dal 2004, e in consiglio comunale dal 1995. E davvero è stata, ed è, un’esperienza straordinaria, sul piano umano. Tenga conto che parliamo del paese dove sono nato e cresciuto, e dove conosco davvero tutti: storie, difficoltà, esigenze. Comprendo solo ora a fondo il senso della frase che mi disse un vecchio amministratore: ‘capirai cosa significa essere sindaco, quando sentirai che il tuo paese respira’. Voleva dire che c’è un senso di comunità, di appartenenza, uno spirito collettivo che il primo cittadino, soprattutto di una piccola realtà, deve saper sintetizzare e interpretare: sentire il paese che respira come un essere vivente, appunto’.
E lei c’è riuscito? Ossia, in 9 anni da sindaco, sente di aver fatto tutto quel doveva?
I voti possono darmeli solo i cittadini di Castellazzo, non posso certo promuovermi da solo. Posso dire però che il comune è virtuoso, ossia solido e sano sul fronte dei conti. Ma anche che nel doppio mandato abbiamo realizzato tutti i progetti che avevamo messo in agenda, a parte la nuova palestra, che è ferma per questioni legate al patto di stabilità. E, se posso citare un elemento di particolare orgoglio, dico la nostra Casa della Salute, che è un vero fiore all’occhiello per Castellazzo. Fu la prima struttura simile aperta in regione, nel 2008, ed è tuttora l’unica funzionante in provincia. La sua bellezza è che è davvero un sistema integrato di servizi sanitari al servizio della popolazione, peraltro in continuo divenire. C’è una collaborazione con Asl, consorzio socio assistenziale, medici di base, associazioni di volontariato sanitario e quant’altro: e i cittadini/pazienti hanno un punto di riferimento importante ed immediato sul nostro territorio.
Fare l’amministratore locale però è sempre più difficile…
E’ questa la questione vera: in 10 anni il ruolo di amministratore locale è enormemente cambiato, e i poteri del sindaco e della giunta sono fortemente diminuiti, imbrigliati da una serie di regole, paletti, diktat dello Stato centrale. Per citare solo l’aspetto più clamoroso, si pensi all’Imu: i sindaci sono chiamati a mettere le mani nelle tasche dei cittadini, per trasferire quei denari allo Stato. E’ davvero l’effetto paradossale di un cattivo federalismo, imposto dall’alto e che non lascia fiato e margine di manovra ai comuni. Io al federalismo come principio ci credo, eccome: ma qui va ridisegnato davvero, e rapidamente, tutto il perimetro della macchina pubblica, in termini di competenze, responsabilità, redistribuzione di risorse.
E qui arriviamo all’altra sua identità, quella di segretario provinciale di un partito, il Pd, che sostiene il governo Letta. Non ha l’impressione che oggi i partiti, tutti quanti, siano ormai vissuti dalla popolazione come un ‘peso’, anziché come uno strumento di democrazia?
Non c’è dubbio, e basta guardare al tasso di astensionismo, e a quanti alle ultime elezioni politiche hanno votato per Grillo (e non credo che i suoi elettori siano tutti ‘sfasciasistema’), per capire che serve davvero un nuovo inizio. E naturalmente io parlo per casa mia, il Partito Democratico: dobbiamo guardare avanti, e farlo con nuovi strumenti e visioni. Io sono stato pienamente schierato al fianco di Bersani alle primarie dello scorso anno, ma guai se oggi riproponessimo gli stessi schemi di scontro interno. Gli elettori non capirebbero, e avrebbero ragione.
Ma come intendete, concretamente, ‘accorciare’ la distanza che c’è tra la politica e le persone? Tornerete alle piazze, punterete sulle Feste Democratiche estive o che altro?
Le Feste Democratiche, come ogni altra forma di evento e incontro pubblico, sono benvenute e utilissime. Ma personalmente, in questa primissima fase del mio mandato (peraltro breve: sarò in carica per qualche mese, poi toccherà ai congressi locali e nazionali decidere del futuro) sto soprattutto ascoltando: cerco davvero di uscire dalla logica dei militanti del partito che parlano tra loro, e se la raccontano. Provo a confrontarmi con tutti i cosiddetti ‘portatori di interessi’, ossia associazioni culturali e imprenditoriali, gruppi di volontariato, sindacati. Vorrei davvero che fossero loro ad indicare al Pd quali sono le loro esigenze e proposte: naturalmente con una logica di forte radicamento territoriale, e tenendo conto che siamo una provincia ‘plurale’, molto articolata.
E con un capoluogo, Alessandria, che vive una fase delicatissima: che contributo può dare, concretamente, il Partito Democratico di fronte all’emergenza di Palazzo Rosso?
Prima di tutto siamo, da sempre e con forza, al fianco del sindaco Rita Rossa, che si trova a dover gestire una situazione delicatissima. Poi, a livello romano, mi pare evidente a tutti che i nostri parlamentari Borioli, Fornaro e Bargero sono stati da subito in prima linea alla ricerca di tutte le possibili soluzioni. Naturalmente (e qui torno per un momento a pensare da sindaco, da amministratore) non si può ignorare un dato contabile, di bilancio, che dice che il comune di Alessandria ha vissuto a lungo al di sopra delle proprie possibilità. E, attenzione, non mi riferisco naturalmente all’entità dei singoli stipendi, ma al fatto che c’è uno squilibrio nei conti che in qualche modo va risanato. Naturalmente tutti speriamo che dal governo centrale, attraverso il tavolo interministeriale, arrivino segnali forti di attenzione, e che siano concesse risorse e tempo, per arrivare a ‘normalizzare’ la situazione evitando il più possibile di ‘caricare’ costi sociali sulle spalle dei lavoratori, soprattutto di questi tempi.
Segretario Ravetti, nel 2014 si vota per eleggere sindaci e consigli comunali di Casale Monferrato, Tortona, Novi e Ovada. Dato lo scenario nazionale, dobbiamo aspettarci qualche alleanza Pd Pdl anche sul territorio?
(sorride, ndr) Personalmente, non mi parrebbe una grande soluzione, e sono per il no. Nel senso che l’emergenza è tale se una tantum: differenze di valori, metodo e proposte alternative devono rimanere, eccome. L’orizzonte della mia segreteria, nei prossimi mesi, sarà quello di procedere nella messa a punto del metodo. Ossia credo che vada messo in campo per tempo lo strumento delle primarie, per far individuare i candidati sindaci ai cittadini. Personalmente sarei per primarie allargate, di coalizione: ma è giusto che siano i diversi circoli territoriali a valutare cosa sia meglio, caso per caso. Certamente però mi sbilancio, e dico che abbiamo le carte in regola, i programmi e le persone per vincere in tutti e quattro i comuni capozona che ha citato.
E Mimmo Ravetti? Alla scadenza del ‘mandato breve’ da segretario provinciale si ricandiderà, o ha altri obiettivi?
Posso raccontarle questo aneddoto: nel 2003 le figure più autorevoli del partito di allora a livello provinciale mi invitarono una sera a sedermi attorno ad un tavolo con loro, e mi dissero: ‘Mimmo, secondo noi sei pronto per fare il sindaco: te la senti?’. Io accettai, e ragiono sempre come allora: non dico che ognuno non possa coltivare legittime ambizioni personali. E’ umano che succeda. Ma credo che in politica i singoli debbano essere al servizio di un progetto collettivo, e non viceversa. Il principio vale per i vertici nazionali, ma anche per noi sul territorio. Quindi davvero vedremo: a me la politica intesa come servizio alla collettività interessa, da sempre. Se potrò dare ancora una mano, lo farò volentieri.
Ettore Grassano
Stampa