Alessandria ribolle. Da un lato Rita Rossa e la sua maggioranza, che ancora venerdì, con un comunicato dai toni secondo alcuni eccessivamente emergenziali, sottolineano l’inevitabilità dei tagli di bilancio, ossia (anche) di dipendenti: oggi fra le partecipate, ma domani o fra 6 mesi, magari non solo lì.
Dall’altro lato i sindacati che, sul piede di guerra, si preparano allo sciopero generale del lavoro pubblico e privato (che è messo assai peggio di quello comunale, cerchiamo di non dimenticarcelo), e alle barricate contro la linea politico-gestionale del sindaco che, un anno fa, hanno contribuito a far eleggere.
In mezzo, noi cittadini: costretti obtorto collo a pagare tasse, bollette e balzelli (comunali, ma anche statali) la cui entità non ha più alcun rapporto con la qualità dei servizi ricevuti in cambio. Storditi da una serie di notizie negative sia sul fronte locale che nazionale (“Italia in bancarotta”, titolava sabato Il Fatto Quotidiano, citando un rapporto di Mediobanca che ci darebbe a rischio default entro sei mesi), e perennemente oscillanti tra la depressione e la voglia di fuga.
Ma a noi, lo sapete, piace andare controcorrente, e questo clima da pre catastrofe ci pare francamente eccessivo. Forse qualcuno, ad Alessandria come a Roma, sta esagerando, e in qualche caso “ci marcia”. Non che la città, e il Paese, navighino in buone acque, sia chiaro: ma nessuna Armageddon è all’orizzonte, e la fine del mondo può tranquillamente essere rimandata. Basta rimboccarsi le maniche davvero, e passare dagli slogan ai fatti, dal pessimismo fatalistico ad un progetto collettivo sostenibile e realizzabile. Vogliamo provarci davvero, o no?
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