Il presidio dei lavoratori in lotta di piazza Libertà 1 ad Alessandria ha organizzato per mercoledì 19 giugno dalla ore 18 un aperitivo musicale e informativo per scambiare idee e informazioni con tutta la città senza dimenticare il piacere di stare INSIEME. Il cantautore Alessio Lega (nella foto), premio Tenco, poeta e scrittore della libertà e della resistenza ha accettato di contribuire gratuitamente con la sua presenza alla buona riuscita del presidio.
Alcuni stralci di una sua recente intervista:
«Sui banchi di Piazza Loggia cade una pioggia che macchia di scuro / come l’inchiostro della sentenza che abbiamo lasciato al futuro / per raccontare ai nipoti ai figli l’assurdo segreto di Stato / dei morti arrivati per caso nell’ora sbagliata e nel posto sbagliato».
Con buona pace della televisione, c’è vita, nella musica popolare italiana, oltre le lagne adolescenziali, le filastrocche da festival dei fiori, il conformismo del folk balcanico-salentino giustamente (e finalmente) sbeffeggiato dagli Elii.
Sarà una conseguenza della crisi, una reazione ai rigurgiti populisti, ma c’è un giro una sana voglia di mollare le menate e di ridare contenuti e passione civile all’arte minore della canzonetta. Per questa ragione sembra arrivare al momento giusto Mala testa, il nuovo album del cantautore e militante anarchico Alessio Lega, da cui è tratto La piazza, la loggia e la gru, da oggi ascoltabile in esclusiva sul nostro sito e che il musicista pugliese canterà a Brescia in memoria delle otto vittime della bomba. Lega, per chi guardasse solo la televisione, si definisce un rivoluzionario pantofolaio. E qui rischiamo di cominciare male… «Ma no, il fatto è che chi scrive necessariamente ama leggere, chi fa musica ama ascoltarla, e quindi si passa molto tempo in casa. E poi non amo stare in mezzo a molte persone: da questo punto di vista, i concerti sono una terapia per uscire fuori da un atteggiamento che sarebbe molto individualista e, appunto, pantofolaio. Rivoluzionario perché nulla mi è più distante dell’idea dell’arte inutile, bella solo in sé: meglio che sacrifichi la sua bellezza, pur di non rinunciare alla sua utilità. Ciò fa di me un artigiano, più che un artista»
E come fa un rivoluzionario in pantofole a non diventare un rivoluzionario da salotto?
«Usa delle pantofole sfondate, che non sarebbero mai ben accette in nessun salotto. Usa delle vecchie scarpe da lavoro, di quelle che si usavano in risaia o in miniera; entra in un salotto chi non alza mai la voce, e magari dice pure le cose giuste, ma in una maniera accettabile, in un modo salottiero. A rifuggire da questo mi aiutano la musica popolare e le voci anche sgraziate ma autentiche del blues».
Ascoltando il disco, si ha l’impressione di avere a che fare con un cantastorie…
«In effetti mi sono accorto di vivere in un momento in cui i miei colleghi hanno rinunciato alla voglia di raccontare storie. Non è così nel teatro, dove Celestini e Paolini stanno dimostrando che raccontare storie è un modo efficace di fare politica. La storia è ciò che resta di una vita, è quello che commuove e ti fa venire voglia di partecipare. Se il mio percorso parte da canzoni d’autore in senso classico, con questo disco spero di essermi avvicinato alle tradizioni dei nostri cantastorie».
De André cantava: «Voi avevate lingue potenti, adatte per il vaffanculo…».
«Ma sì, il cantautorato ha abdicato al ruolo di narrazione. Non voglio dire denuncia, perché è un’indole che non tutti hanno. Quei pochi che denunciano, in ogni caso, mi assalgono con immagini che però non mettono insieme una storia e che non producono nessuna emozione, nessun cambiamento in me. E questo non va bene: quando vai a teatro non dovresti alzarti dallo stesso punto in cui ti eri seduto».
Perché nelle tue narrazioni hai incluso la Resistenza?
«Perché la Resistenza al nazifascismo è la più bella poesia mai scritta da un popolo. E non è stata solo un fatto italiano. Si parla tanto di radici europee e le si vorrebbe individuare nella religione, ma per me una vera radice culturale è la Resistenza, che ormai si è spostata nei luoghi di lavoro. Il resistente di oggi è il lavoratore»