E’ davvero stucchevole, in questi giorni, il balletto che si sta creando attorno al mondo del lavoro, o meglio sempre più del “non lavoro”, e dei disoccupati. I grandi media amici del governo pubblicano lettere di giovani (e meno giovani: conosco parecchi migranti quarantenni) qualificati e senza sponsor costretti a trasferirsi in Germania, Stati Uniti o Nuova Zelanda, e il premier Letta si scusa pubblicamente a nome della politica. Facendo finta di ignorare, peraltro, che in qualsiasi altro Paese normale una classe dirigente che ha fallito completamente non è che si scusa e continua imperterrita ad occupare ogni posizione: semplicemente va a casa, sparisce, magari migra essa stessa.
Ma noi, ormai ne abbiamo preso atto da tempo, non siamo un Paese normale: semmai una (ex?) comunità di chiagni e fotti, a tutti i livelli. Per cui anche una questione estremamente seria come “la fine del lavoro” diventa occasione per andare in prima pagina, e ritagliarsi un proprio ruolo, di dignitosa consapevolezza al passo con i tempi.
Ognuno, poi, spara le proprie previste previsioni, assolutamente prive di qualsiasifondamento, ma funzionali al messaggio che in quel momento si vuole diffondere. Vi ricordate l’esimio Mario Monti (oggi senatore a vita, come premio concordato a priori con Napolitano) che parlava di uscita dal tunnel della crisi? Più o meno le esternazioni dei sindacati di questi giorni hanno la stessa fondatezza, di segno uguale e contrario. E, del resto, leggetevi il ritaglio di slogan che pubblichiamo qui a fianco, per avere un quadro efficace della situazione.
L’unica cosa certa è che questo sistema, costruito a suo tempo con scarsissima lungimiranza (che non fosse la durata temporale del loro percorso politico) dai vari Andreotti, Craxi e compagnia si è definitivamente “incartato”. La cosiddetta seconda repubblica è stata un disastro: vent’anni trascorsi a far dividere gli italani tra pro e contro Berlusconi, mentre gruppi di interesse fintamente contrapposti si spartivano tutto quel che era rimasto, senza neanche far finta di inventarsi un progetto di sviluppo collettivo. E ora si scusano pure? Ma su….
L’italia oggi sta in piedi grazie a pensioni, stipendi pubblici e risparmi privati (che già hanno cominciato ad eroderci): fino a quando però, e cosa succederà dopo, è davvero difficile prevederlo. Ma non servono specializzazioni così raffinate per capire che un Paese che ha distrutto (o esportato) la filiera della produzione, illudendosi di campare di terziario e soldi pubblici, non ha grandi chance, e non le merita. Ricordo che un top manager Ibm, italiano ma con responsabilità internazionali (oggi credo viva negli States) mi disse alla fine degli anni Novanta, a margine di un convegno: “tra 15 anni l’Italia sarà semplicemente un deserto: penisola distributiva di prodotti in arrivo dall’estero, acquistati dal popolo con soldi messi in circolo dallo Stato”. Tombola! Non so che analisi facesse 15 anni Enrico Letta, ma mi pare evidente che “i meglio cervelli”, già allora, per realizzarsi guardavano ad orizzonti internazionali. Quindi, se avete in casa un ragazzo o una ragazza che davvero ha “dei numeri”, lasciate che si muova in una dimensione planetaria, o almeno europea. Scoprirà, vedrete, che esistono Paesi normali, in cui chi sa fare può fare, e persino progettare il proprio futuro. Senza ricevere dal politico di turno scuse o commiserazione.