Un’unica “testa” in grado di governare, e ottimizzare, l’intero ciclo dei rifiuti (raccolta e smaltimento) su un’area vasta che comprenderà le due attuali Province di Alessandria e Asti. Lino Rava, assessore provinciale alla Tutela Ambientale (ma con un portafoglio di deleghe assai più vasto: dall’Agricoltura ai Prodotti tipici, alle Comunità Montane), è alle prese in queste settimane con la fase finale di un complesso iter organizzativo, che potrebbe anche essere (a meno di ulteriori novità sul tema Province) l’atto conclusivo del suo assessorato. Ne approfittiamo allora per fare con cui il punto della situazione, sui diversi settori di competenza.
Assessore, ci spiega con semplicità che destino ci attende, sul fronte rifiuti? I cittadini rischiano lo stato confusionale: gli alessandrini poi, non parliamone.
Non entriamo naturalmente nello specifico della vicenda Amiu, che dovrebbe approfondire con altri interlocutori. Le posso dire invece che l’iter per la messa a punto della nuova mappa gestionale dell’intera filiera dei rifiuti è in dirittura di arrivo. Ci abbiamo lavorato un anno, con il coinvolgimento di tutti i soggetti del comparto, e ora dobbiamo soltanto procedere alla delibera della Convenzione tra Province, per poi passare il tutto a livello regionale.
Concretamente cosa significa?
Significa che, dal prossimo settembre, la responsabilità della gestione del ciclo integrato dei rifiuti, che oggi spetta ai diversi consorzi (Alessandria, Novi, Casale, Asti), passerà ad un unico soggetto, chiamato Ato (Ambito territoriale ottimale, ndr), che estenderà le sue competenze su 308 comuni, per complessivi 650 mila abitanti. Ossia, appunto, le due Province di Alessandria e Asti. All’interno della Conferenza di Ambito ci saranno 12 rappresentanti, ossia le due Province, i 7 comuni capozona alessandrini e i 3 comuni capo zona astigiani. Toccherà a questa struttura (che si darà un proprio direttore e un presidente, mi auguro su principi di forte competenza) gestire tutta la filiera di raccolta e di gestione dei rifiuti, oggi piuttosto articolata sul territorio in questione. Aggiungo, sul fronte del personale, che gli attuali consorzi sono già molto snelli, avendo in tutto 17 dipendenti. Che, naturalmente, verranno trasferiti al nuovo soggetto, e che potranno avere anche compiti più ampi, ad esempio sul fronte della predisposizione delle bollette.
Cosa cambierà per noi cittadini, e per le diverse aziende di raccolta e smaltimento rifiuti?
Lì si apre la valutazione sulla modalità per l’affidamento dei servizi. Che naturalmente, essendo essenziali ed obbligatori, non sono minimamente in discussione, ci mancherebbe. Ma si dovrà chiarire se ci sono le condizioni per assegnarli in house (e la legge lo consente, purché si sia in presenza di società con capitale interamente pubblico, e con forte prevalenza di attività indirizzate all’ambito pubblico), oppure se sarà più opportuno ricorrere a gara europea, confrontandosi sul mercato. E’ una valutazione che, appunto, spetterà ai rappresentanti dell’Ato.
Assessore Rava, sarà questo l’atto finale del suo assessorato? Insomma, le Province saranno abolite o no?
E chi lo sa? Siamo in attesa di chiarimenti, dopo le affermazioni del premier Letta che, appena nominato, sembrò voler proseguire in quella direzione. Posso solo aggiungere che io sono sempre stato un convinto difensore del ruolo delle province, fin dalla mia esperienza come parlamentare. Continuo a pensare che, senza le Province, si porrebbe un serio problema di gestione di aree vaste: e che molto meglio sarebbe razionalizzare, anziché dismettere. In ogni caso, se dismissione deve essere, che venga almeno chiarito con trasparenza come vengono ripartite funzioni, competenze e personale.
Intanto navigate a vista….
A vista, e a risorse zero, il che come può immaginarsi è una tragedia. Lo si vede chiaramente, per quanto riguarda le mie competenze, sul fronte agricoltura: lì negli ultimi anni siamo riusciti a far partire progetti ed iniziative di rilievo: dalle nocciole al grano, fino all’economia del vino, dove abbiamo messo in rete le cantine sociali, e creato AlVino, associazione che riunisce una cinquantina di produttori privati. Il problema è che il budget a disposizione del mio assessorato per il 2012 è stato zero. Stessa cifra per quest’anno. Capisce che, in queste condizioni, hai davvero poche frecce al tuo arco, e al di là di minime attività di coordinamento o informazione non puoi andare.
Da assessore, ma anche da imprenditore che ha frequentato e frequenta il settore, come vede il mercato del vino alessandrino?
Con luci e ombre direi. Le faccio un esempio: fino a tre anni fa l’uva cortese era pagata 25 centesimi al chilo. Nella vendemmia 2012 si è arrivati a 60-70 centesimi, il che significa un miglioramento netto. Il barbera ha serie difficoltà, ma tutto sommato regge, così anche il dolcetto. E naturalmente, accanto all’attività delle cantine sociali, abbiamo sul territorio importanti produttori privati di prestigio: e i due aspetti non sono in contraddizione o concorrenza, ma rappresentano due tasselli dello stesso sistema. Se si cresce, si cresce insieme.
Spesso si dice però che qui da noi il sistema non c’è: al contrario di Alba e delle Langhe, ad esempio….
E c’è del vero: gli alessandrini, e mi riferisco a tutta la provincia, sono fortemente individualisti, per tante ragioni di tipo storico territoriale. Nelle Langhe fanno sempre squadra, e giocano la stessa partita: magari si prendono a cazzotti negli spogliatoi, ma in campo sono sempre coesi. Da noi non è così: e il gusto della polemica interna spesso prevale sull’idea di far parte di un progetto collettivo.
Lei è anche assessore a comunità montane e unioni collinari: lì a che punto siamo?
Le comunità montane sono in via di scioglimento, siamo in attesa della nomina dei commissari. E’ una scelta che rispetto, ma che non ho condiviso: credo che sia stato in errore. La legge dava in realtà l’opportunità di trasformare le comunità in unioni montane, il che avrebbe consentito di mantenere tutte le strutture, e di evitate la frammentazione in piccole unioni locali. La Regione ha lasciato giustamente che a scegliere fossero i comuni, e la loro decisione va rispettata. Anche se credo che significherà, in prospettiva, mancanza di progettualità politica in termini più ampi, e di possibilità di proporsi come soggetto forte, con voce in capitolo anche su tavoli extra locali: insomma, anche in questo caso emerge un po’ la tendenza a non fare squadra.
Ettore Grassano