Due dati evidenti, prima di tutto:
1) c’è ormai un terzo di italiani che non crede al voto, e diserta stabilmente le urne.
2) i media che entusiasti parlano di “crollo del Movimento 5 Stelle” scondinzolano eccessivamente, da servi sciocchi quali sono (erano e saranno: amen), perché paragonare queste elezioni amministrative parziali alle politiche di tre mesi fa significa mettere insieme le mele con le pere, e perché se Grillo a Roma fa il 13%, e prima in consiglio comunale non c’era, non si può dire che sia crollato.
Ma, pur con queste premesse, non possiamo ignorare un trend omogeneo in tutto il Paese: il centro sinistra, e il suo partito “trainante”, il Pd, si apprestano a governare praticamente tutte le principali città della tornata elettorale di ieri (con punto interrogativo su Brescia), e questo qualcosa vorrà pur dire.
Del resto, nel nostro piccolo constatammo lo stesso fenomeno ad Alessandria un anno fa, dove il centro sinistra conquistò Palazzo Rosso con un consenso inferiore a quello con cui lo perse nel 2007.
Nella disaffezione che cresce in maniera esponenziale, insomma, il centro sinistra “tiene”, o perde meno. E tanto gli basta ad aggiudicarsi praticamente l’intera posta in palio (attenzione: con responsabilità annesse).
Confesso: non mi aspettavo che, a Roma, Marino più “Arfio” (i cui voti arrivano per lo più dal bacino del centro sinistra) facessero complessivamente così bene. Ed ha un bell’arrampicarsi sugli specchi Alemanno: quando sei sindaco uscente e prendi il 30%, hai sbagliato ben più di qualcosa, è chiaro. E’ una deblacle, punto e basta. Ma Roma è Roma, e forse sono più interessanti i dati delle province italiane: è lì che si ribadisce che i candidati del centro sinistra, alle amministrative, sono mediamente più credibili e vincenti, mentre il centro destra, quando il Berlusca non “corre” in prima persona (e non imperversa in tv) si sgonfia immediatamente. La Lega Nord poi, nella nuova gestione targata Maroni, per ora davvero non ingrana, pur avendo paraddosalmente una classe dirigente mediamente più seria e qualificata che in passato. Ma vai a capirli, gli elettori italiani. Che hanno sempre ragione, sia chiaro, perché queste sono le regole del gioco. Ma non è che, per questo, ne vada enfatizzata la capacità di analisi e comprensione: altrimenti non saremmo ridotti così male, poche storie.
E il Movimento 5 Stelle? E’ davvero Grillo il grande sconfitto di questa “tornata” elettorale? Non esagererei: certamente nella crescita impetuosa degli ultimi 12 mesi il Movimento (e soprattutto la diade al comando) errori ne ha commessi, eccome. E, del resto, contro i “grillini” non c’è un solo partito, ma un “sistema” stanco e sfiancato, lacerato al proprio interno ma pronto a fare fronte comune di fronte a chi osa mettere in discussione non tanto le regole, ma la legittimità stessa del “gioco della politica”. Però, appunto, in fin dei conti in un significativo numero di comuni italiani fino a ieri rappresentanti del Movimento 5 Stelle non ce n’erano, e da domani (o fra due settimane) ce ne saranno diversi, sia pur sui banchi dell’opposizione: non è che se non si vince 6 a 0 si perde per forza, insomma.
Naturalmente, però, non dimentichiamoci di cosa stiamo parlando. Se il governo Letta non dice con chiarezza cosa intende fare degli enti locali (comuni, ma anche province e regioni), e come d’ora in poi intende impostare il rapporto tra centro e periferia (a partire dalla ripartizione delle risorse finanziarie), rischiamo davvero di parlare di nulla: come trasformassimo una partita amichevole nella finale di Champions (splendida prova di germanica potenza, per chi l’ha vista e apprezzata).