“Ho ereditato le vigne da mio padre e da mio zio, rappresento la quarta generazione di famiglia: ma certamente negli anni Novanta ho imposto la svolta, passando dalla produzione e vendita di vini sfusi, alla bottiglia di marca”. Walter Massa nel mondo del vino è ormai una star conclamata, e non solo a casa nostra. Anzi, forse soprattutto altrove. Lo incontriamo un pomeriggio al tramonto, di rientro dalle vigne con i suoi collaboratori (“i dipendenti staccano alle cinque, come è giusto: 8 ore di lavoro. Io di solito naturalmente vado avanti, e ne faccio 12”), e prossima alla partenza per una serata degustazione a Lodi. “Mi invitano, e non andarci sarebbe scortese. E’ faticoso, ma è anche l’unico modo, questo del passa parola e della promozione diretta, che un artigiano ha di far conoscere i propri prodotti senza troppe mediazioni commerciali”.
L’azienda Vigneti Massa è a Monleale alto, piccola “perla” collinare a pochi chilometri da Tortona: un borgo che merita la deviazione, con piccola salita di un paio di chilometri, rispetto alla strada principale che porta a San Sebastiano Curone. “Le nostre vigne sono tutte qui, sulle colline dove siamo nati”, spiega Massa. E, consapevole che raccontare è importante, ma mostrare agli occhi è meglio, ci accompagna in un breve, piacevole tour in auto (in forte pendenza: avete presente le “montagne russe”?) tra filari e filari di timorasso e moscato (uve bianche) e barbera, croatina e freisa (uve nere). Terreni “curatissimi”, che necessitano di attenzione pressoché costante: “questa è la stagione in cui si sostituiscono le viti che non hanno superato l’inverno, e come la facciamo noi è un’attività dai costi notevoli, di materiale e di manodopera. Ma è l’unico modo che conosco per mantenere le vigne in condizioni di salute ottimali”. Queste terre “raccontano” la vita di chi le coltiva, e ne ha cura: “quella è la casa dove è nato mio padre”, ci indica Massa col dito, arrivati sulla cima della collina, “e quell’altra era l’abitazione della famiglia di mia madre: in quella casa lì, più o meno a metà strada, sono nato io”. E non manca una vigna “alla moda”, chiamata Montecitorio: “è un timorasso di gran qualità, si chiama così perché vinse un premio romano, con premiazione nei palazzi della politica. Ma di questi tempi, meglio non ricordarlo troppo”.
La famiglia di Walter Massa non era propriamente una qualunque: 23 ettari di terreno a vigna (di cui 9 di barbera, e 9 di Timorasso) non si improvvisano. Ma certamente l’attuale titolare dell’azienda ha il grande merito di aver “visto giusto”, e di aver deciso, vent’anni fa, di “fare il salto” verso una produzione di assoluta qualità, trasformando la sua attività di produttore di vini nella direzione della valorizzazione del “bere bene”, cercando anche il senso e la storia che c’è dietro un bicchiere di timorasso, o di barbera. E’ un po’ cowboy delle vigne e un po’ filosofo, Walter Massa, e gli piace citare Adam Smith piuttosto che Luigi Tenco, a supporto della sua “visione” del mondo del vino, e della sua bellezza. Ma non nasconde difficoltà e criticità del settore, anzi.
“Se io vendessi le mie bottiglie a 4 euro l’una – spiega Massa – semplicemente fallirei e chiuderei bottega, ma soprattutto sarebbe svilente per tutta la filiera che c’è dietro la produzione di ogni singolo litro di vino. Così, vent’anni fa appunto, ho scelto la strada della valorizzazione di quel che faccio. E non sono l’unico, sia chiaro: soltanto qui nel tortonese ci sono 10-12 aziende di valore, e quasi tutte in mano a persone giovani. Io, con i miei 57 anni, sono tra i più anziani”. Il capostipite, probabilmente, di un nuovo modo di produrre e “vendere” il vino. Almeno a casa nostra. Con una peculiarità, peraltro: a Walter Massa piace “giocare in casa”, e ricevere qui, sulle sue colline, i potenziali acquirenti. “Diciamo pure che sono pigro – sorride – e provo grande ammirazione per chi sa organizzarsi e girare per il mondo. Io preferisco però stimolare, attraverso un passa parola ormai molto diffuso, le persone a venirmi a trovare qui. Anche perché se mi vedono mentre torno tutto infangato dalla vigna, come ora, e ci gustiamo un buon bicchiere deciso sul momento, in base al tempo e all’umore, sono convinto che capiscono di più di cosa stiamo parlando. E naturalmente, insieme al vino, offro sempre qualche fetta di salame nobile del Giarolo. Il più buono del mondo, lo scriva pure”. Così Monleale alto è diventato un punto di riferimento per la comunità professionale del settore, ma anche per estimatori della “bottiglia” di qualità, o per chi studia per diventare enologo. “Tengo alcune lezioni – spiega Walter Massa – al corso di laurea in Enologia dell’Università di Milano: ma al di là di qualche incontro teorico, che si può fare da loro, poi li invito qui, nei campi e in azienda, perché vedano cosa significa, e tocchino con mano. Ieri poi, ad esempio, avevo qui uno dei migliori produttori di vini delle Puglie, che fa un Negramaro e un Primitivo da togliersi il cappello: lui quando gira per eventi si porta dietro anche qualche mia bottiglia, e io faccio lo stesso con le sue. E’ un modo per fare squadra, e aiutare davvero tutto il settore. Ma anche oltre: noi siamo artigiani, e sono gli artigiani la spina dorsale dell’economia di questo Paese, in tutti i comparti. Per questo è importante valorizzarci: altro che gli industriali. Loro sono le fotocopie, producono in serie. Noi siamo gli originali”.
L’azienda di Walter Massa è solidamente in mano alla famiglia (“io, mia mamma, mia sorella, i miei nipoti”), ma si avvale anche della collaborazione di un team di dipendenti, in parte fissi, in parte stagionali: “ma mai cooperative – sottolinea Massa – e sempre e solo persone del posto, che queste colline le conoscono, vivono, amano. Non potrei concepire che qualcuno viene a lavorare da me qualche settimana, poi si sposta altrove: il vino è un pensiero, il prodotto finale è frutto di una filosofia condivisa da una squadra che ci crede. Dalla potatura e falciatura fino alla vendemmia”.
Ed eccoci alle dolenti note: lo stato di salute del mondo del vino in provincia di Alessandria. “è una situazione triste, e strana. Già per ragioni geografiche in realtà il casalese ha sempre guardato all’astigiano, noi qui nel tortonese al mercato di Casteggio, Gavi e Ovada verso la Liguria. Alessandria è sempre stata la sede dei palazzi degli enti, delle associazioni di categoria, della burocrazia, e poco altro. Anche se, per fortuna, i ristoranti di qualità del territorio provinciale ci hanno scoperti e ci valorizzano da tempo. Ma certe strutture, anche costose, a cosa servono? La Provincia, sia pur in modo altalenante, qualcosa a sostegno del mondo del vino ha provato a fare: ma adesso è senza un euro, e pare che stia per tirare le cuoia, quindi…..Rimarrà la Camera di Commercio: che ha sempre e solo sprecato risorse, senza nessuna sintonia o accordo con i produttori. Quindi continueremo a fare da soli, col passaparola e con il mutuo soccorso tra noi”.
Ma che annata sarà, la prossima, con questa primavera così anomala? “E’ presto per dirlo – sospira Massa -, anche se è evidente che siamo davvero indietro con la maturazione del terreno, e quindi delle viti. Se andiamo avanti così, si tornerà credo a tempi della vendemmia più tradizionali, ossia fine settembre, inizio ottobre. E del resto le vendemmie di fine agosto, assolutamente innaturali, sono anche il frutto di scelte che non ho mai condiviso, che hanno portato a impiantare in certe colline vitigni che non c’entrano nulla con la storia di quel territorio. Noi siamo andati sempre nell’altra direzione: solo vini autoctoni. E credo che sarà tutto il tortonese a beneficarne. Presto, vedrete, il timorasso sarà universalmente conosciuto come Derthona. E sarà un valore aggiunto per tutta la nostra zona”.
Ettore Grassano
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