“Vuole la verità? Noi guardiamo gli imprenditori all’altezza degli occhi: sanno che questa è casa loro, e che qui trovano concretezza, e supporto vero. Anche e soprattutto adesso, che la crisi morde in modo devastante”. Cesare Manganelli lavora in Confapi Alessandria dal 1997, e da poche settimane ne è il direttore, a seguito della fuoriuscita di Enrico Taverna. Inutile chiedergli chiarimenti sulla delicata vicenda (“non so nulla, mi spiace”): interessante invece approfondire con il nuovo direttore, che fu in precedenza responsabile delle relazioni sindacali dell’associazione delle piccole e medie imprese, come gli addetti ai lavori si stanno confrontando con un passaggio epocale, e quali contromisure stanno mettendo in campo per far fronte al malessere profondo dell’economia del Paese.
Dottor Manganelli, il tessuto imprenditoriale provinciale regge, nonostante tutto, o rischiamo davvero di schiantarci?
Quello che abbiamo di fronte a casa nostra è un sistema a due velocità. Ci sono le grandi imprese multinazionali, i cui nomi tutti conosciamo, che si muovono in base a loro logiche, molto diverse dal resto del mercato. Ossia stanno su un’area finché ne hanno convenienza, poi nel caso smantellano e vanno altrove. Non è che non abbiano problemi, sia chiaro: ma è un altro mondo. Noi, come Confapi, seguiamo anche qualche grande azienda, fuori provincia, a seguito di relazioni e rapporti nati in passato, attraverso il consorzio Nord Ovest Imprese. Nell’alessandrino, però, sono le piccole e medie imprese il nostro universo di riferimento.
E qui che succede? Ci sono segnali che facciano pensare ad una ripresa di sistema?
Purtroppo no. Certamente la vocazione all’export del nostro territorio finora lo ha salvato dal naufragio, e ci sono diverse realtà forti e solide, nonostante tutto. Ma lo scenario è drammatico, a partire dall’edilizia, che è completamente ferma. E non è un mistero che il comparto edile sia sempre stato uno dei pilastri del sistema. Chi produce beni strumentali (ossia attrezzature e macchine utensili) regge, appunto grazie all’export. Ma a fatica.
E cosa serve per ripartire davvero?
Ci vogliono elementi sistemici, un progetto di Paese e di territorio all’interno del quale i singoli operatori possano muoversi. Vilfredo Pareto diceva: “non contano le intenzioni delle persone, ma gli effetti”. Direi che il principio può essere trasferito tranquillamente al nostro contesto economico. Il nostro tessuto produttivo è rappresentato da tante piccole e medie aziende, che hanno sempre costituito l’ossatura del sistema. E sono, badi bene, imprenditori dinamici, e che davvero non si arrendono mai. Così, però, non si può andare avanti a lungo: o la politica economica del Paese rimette la piccola e media impresa al centro, prendendola come riferimento, o lo scenario peggiorerà ancora.
Cosa la colpisce di più, visitando le aziende, e incontrando gli imprenditori in questi mesi?
La loro determinazione, più forte sia della rabbia che dello scoramento momentaneo. E poi l’elemento cognitivo, che spesso non viene evidenziato a sufficienza. I piccoli e medi imprenditori innovazione la fanno, eccome. Certo, non hanno la possibilità di allestire centri di ricerca ad hoc, ma inventano continuamente soluzioni, strumenti, percorsi per far fronte alle esigenze del mercato, e per anticiparle. C’è davvero tanta intelligenza in quel che fanno.
Confapi cosa fa, e cosa può fare, in un momento come questo?
Noi ci siamo sempre, per affrontare e per quanto possibile risolvere i problemi di ogni singolo associato, e i nostri iscritti lo sanno. Oggi a livello provinciale abbiamo circa 600 imprese, che danno lavoro a 14.500 addetti. Ognuno di loro ha proprie esigenze, e trova nell’associazione un canale di ascolto costante. A livello di sistema, invece, quel che dobbiamo fare è spingere verso una semplificazione di molte procedure, che oggi paralizzano una piccola e media impresa. E’ impensabile che chi ha 20 o 30 dipendenti debba sottostare alle stesse regole e procedure di chi ne ha 5 mila. E oggi, mi creda, è davvero così: paradossale ma vero.
A cominciare dal credito?
L’elemento del credito è essenziale: se il sistema bancario non da fiato e respiro alle imprese, il sistema va in corto circuito. Ma ci sono anche altre elementi, sul fronte della burocrazia, che sono altrettanti ostacoli: regole fiscali e contributive che cambiano ogni sei mesi, normative vessatorie che costringono un piccolo imprenditore a dedicare più tempo all’amministrazione che al suo business. E’ una follia: le aziende hanno un tempo, di lavoro e di risultato, che si va accorciando sempre più. E la burocrazia, anziché semplificare loro la vita in un momento così delicato, li ostacola. Mentre ci sarebbero alcuni passaggi essenziali su cui intervenire subito: a partire dalla detassazione delle retribuzioni.
Manganelli, l’Italia è il Paese dei mille campanili anche sul fronte associazioni: Confapi, Confindustria, Collegio Costruttori, le numerose rappresentanze di artigiani e commercianti. Non sarebbe il caso di semplificare, per essere più forti?
E’ un discorso delicato. Pensare alla fusione di realtà così diverse mi pare improbabile, perché ognuno rappresenta davvero segmenti con bisogni e interessi molto specifici. Sicuramente sarebbe opportuno dialogare di più, e progettare insieme. Il che non succede, per tante ragioni. Personalmente, credo sia ora di finirla con tanti piccoli eventi di rappresentanza, assolutamente autoreferenziali, e di guardare invece davvero con concretezza alle esigenze degli iscritti. Noi in Confapi lo facciamo davvero, lavorando a pancia sotto: ma non forniamo assessori al Bilancio!
Direttore, provi ad immaginare l’Italia tra 12 mesi, sul fronte imprese: è ottimista?
Penso positivo, a patto che le istituzioni ricomincino a fare davvero la loro parte. Ce la dobbiamo fare, su questo non si discute. Anche se le aziende che hanno chiuso non le recupereremo, dobbiamo guardare avanti, e mettere i nuovi, potenziali imprenditori nelle condizioni di provarci, di fare impresa senza i mille ostacoli di oggi. La strada è una sola: dare fiducia ai giovani, e spingendoli a dare vita a nuove attività: non tutte ce la faranno, ma si innescherà un circuito virtuoso, di nuova crescita e occupazione.
Ettore Grassano