L’onore della memoria [Lo Straniero]

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di Angelo Marenzana.

Una minaccia incombe sull’umanità. Un manipolo di esseri dalle movenze robotiche animati dall’istinto primordiale di nutrirsi di carne cerca di prendere il sopravvento sull’intera collettività. Sono gli zombie. Morti viventi. Semiputrefatti. Infettivi. Sono cadaveri riportati alla vita cerebrale, rianimati da un impulso al cervello. Non sono esseri senzienti, non parlano e non ragionano. Si possono uccidere solo colpendo il cervello, l’organo che permette loro di avanzare come burattini nonostante la morte naturale del corpo.

Sono i macabri protagonisti del romanzo di Richard Matheson Io sono leggenda, dove un intero continente viene infettato da un patogeno che causa follia collettiva e violenza omicida. A tale soggetto si ispira la trasposizione cinematografica La notte dei morti viventi, film cult di George Romero uscito nel 1968. Si inaugura così l’immagine del “deceduto e resuscitato”, vera minaccia per la civiltà. A etichettare definitivamente questo cadavere putrescente regalando anche dignità d’appartenenza a un genere culturale (inizialmente etichettato di serie B e di sempre più ampia diffusione tra la folta schiera degli amanti dell’horror), arriva sugli schermi nel 1978 il film Zombi, dove folle di non morti invadono un centro commerciale, simbolo di un’economia e di una società d’oltreoceano, e mettono in crisi relazioni e valori tra un gruppo di “umani” asserragliati al suo interno.

A voler scavare più a fondo si può parlare di metafora dell’uomo che distrugge se stesso. Io sono_leggendaSenz’armi. Senza tecnologia. Solo con la propria voracità mai sazia nemmeno con la morte fisica del proprio corpo. Forse, si tratta più semplicemente della voglia (del tutto rispettabile) di uno scrittore dotato di maggior forza visionaria di un suo collega, di raccontare una storia ai limiti dell’impossibile conosciuto. E basta.

Certo è che la parola zombie è entrata a far parte del linguaggio comune. Anche del non appassionato di genere. E la sua figura si presta a paralleli di diversa natura. Se la memoria non mi inganna, è stato Beppe Grillo a sdoganarla riferendosi all’attuale classe politica, proprio qualche mese prima della campagna elettorale. Dando così l’onore della cronaca a quello che si può definire lo “zombie italicus”. Colui che mai si rifiuta di fare passerella nelle dirette televisive, non ultima quella dei tre lunghi giorni programmati per l’elezione del Capo dello Stato. Non veste abiti stracciati, usa modi pacati, ride con garbo. Anziché le orbite vuote, preferisce presentarsi in pubblico con grandi montature nere tanto di moda. E’ capace di arrotare tra i denti una sola parola …responsabilità. Forse il suo copione non ne prevede altre. Colpito da un virus non ancora isolato, vive la propria realtà distante da tutti, rinchiuso in una enclave romana collegata con un vicino staterello di ispirazione cattolica. Si nutre delle sue stesse chiacchiere e della carne degli affari, del sangue dei suoi simili senza distinzione di appartenenza, là dove vige la regola del non mettersi di traverso sulle reciproche strade. Ha una sola pretesa pubblica. Governare i valori e i bisogni collettivi di cui si sente unico portavoce.

La sua protervia ha prodotto solo di stritolare la nostra Carta Costituzionale tra la morsa di due generazioni di morti. Da una parte quelli che hanno combattuto l’altra più autentica minaccia che nel secolo scorso incombeva sull’umanità. Il virus del nazifascismo. Sconfitto da chi ha offerto la propria vita per il bene delle generazioni a venire. Dall’altra gli attuali zombie che marciano, come nella miglior tradizione letteraria, grazie ad un cervello a intermittenza, uno strumento di comando arido, spremuto. Senza principi, e fantasia. Senza idee o risorse. In grado solo di ripropone stereotipi vuoti. E partorire certezze tanto mercenarie quanto putrefatte.

Oggi in occasione del 25 aprile, è d’obbligo osservare i protagonisti più autentici della nostra storia, forte della memoria dei giovani, degli intellettuali caduti con dolore per far nascere la nostra Costituzione nel rispetto dei principi di libertà e uguaglianza. La memoria viva di un sacrificio che ha negato loro il diritto a esistere per permettere a noi di vivere con dignità.

Due rappresentazioni opposte. Un raggio di luce e di speranza, quello scolpito da morti a cui inchinarsi con onore. Oppure il buio dell’incubo, l’orrore dei non vivi a cui prostrarsi con servilismo nell’illusione di sopravvivere.
Ognuno scelga le pagine in cui specchiarsi.