Il ristoratore ero io [Il Superstite 135]

arona-2di Danilo Arona.

Mi capita così. Riferisco l’episodio senza esprimere giudizi. E’ un segno, pessimo, dei tempi. C’ è un bel paesino sulle colline del Monferrato dove ogni tanto mi reco con mia moglie e qualche amico/a perché alla sera mi piace camminarci dentro per poi finire in uno dei suoi (due) ottimi ristoranti. E’ “medioevale”, quasi senza negozi, con panorami mozzafiato dalle sue piazze a terrazza quasi pencolanti nel vuoto. Non ne svelo il nome; se lo intuite, okay, altrimenti okay lo stesso.

Uno di questi ultimi sabati ci arriviamo e, dopo un posteggio difficoltoso, scopriamo che uno dei due ristoranti già non esiste più. Peraltro, per purissimo caso, abbiamo prenotato dall’altra parte. Rituale passeggiata e poi ci infiliamo dentro. Sono più delle nove e un certo appetito incalza. Il posto, come sempre, appare accogliente e suggestivo. I gestori, una coppia assai dinamica all’incirca di mezza età (che non vuol dire proprio nulla, viste le continue rivisitazioni dei parametri evoluzionistici…), i tavoli quasi tutti occupati. Altro rituale, i saluti, le ordinazioni, scelta del vino. Due battute col patron. Ah, particolare primario: qui si mangia benissimo con rivisitazioni intelligenti della cosiddetta “cucina del territorio”. Quel che personalmente mi piace senza sentirmi “di destra” o “di sinistra”, perché pare che esista persino una sottotraccia politica se ingurgiti sushi oppure hot dog con crauti. E si parte, ottimo cibo e serata serena.

Poi il patron arriva per fare le solite due chiacchiere con i clienti “amici”. La citazione daRistorante-chiuso parte nostra sull’altro ristorante che ha chiuso si porta dietro una serie di sue considerazioni che ci gelano il sangue e ci fanno pensare.
«Sì, hanno chiuso. Hanno trasferito l’attività in Sardegna. Stagionale, ma sulla carta, se il vento proprio non si gira al contrario, sicura. E a fine anno chiudo anch’io. Durante la settimana ormai qui al paese non sale più nessuno. E come si fa a lavorare solo nel week-end? Siamo all’assurdo: se non faccio scontrini, quelli delle imposte non ci credono. Ma alla sera, di martedì o giovedì, è un paese fantasma. Non ci sto più dentro con le spese. Per pareggiare ho dovuto ipotecare la casa. Trent’anni che lavoriamo ed eccoci qui con un pugno di mosche. Ma ti sembra logico che…»

E guarda me perché mi ritiene un addetto ai lavori. «… che uno come Pietro Maso abbia ricevuto un acconto di 100.000 euro per pubblicare un libro che racconta come ha ammazzato i genitori a padellate 22 anni fa e io, che ho lavorato onestamente per anni,  venga cacciato da un sistema vessatorio e medioevale che mi spreme persino i coglioni?»

Nessuno di noi del tavolo osa contraddirlo. Lo sentiamo proprio dispiaciuto e amareggiato. Peggio, incazzato. Forse la logica vorrebbe ricordare che le due dimensioni, il libro di Maso che s’intitola “Il Male ero io” ed esce per Mondadori curato dalla giornalista Mediaset Raffaella Regoli e l’attività dell’amico ristoratore, non sono forse accostabili, sia per dinamiche che per logiche di “quantificazione”. Ma è una logica che pure a me pare stridente, stonata. Io personalmente non so quanto sia vera la faccenda dell’anticipo, ma so bene che in editoria questi meccanismi sono consueti e oliati, specie da parte delle major (che, a furia di investimenti tanto demenziali, navigano pure in cattive acque…). La mia opinione – silenziosa per l’occasione perché a quel tavolo non possiamo che dare ragione al patron – è che oggi 100.000 euro d’anticipo dati a qualsiasi autore sono nello sconfortante momento attuale (che è una vera e propria emergenza) sono un insulto per molti. Persino anche nel mondo degli scrittori.
Resta sospesa la questione dell’opportunità di questo libro. Ma ne scriverò in altra occasione. Anche se non nascondo che a questo signore che annuncia il suo cambiamento tramite le trombe di Segrate avrebbero senza dubbio giovato di più il silenzio e l’oblio.

Così, dopo l’appassionata protesta del patron, scivoliamo con un po’ di mestizia in più verso la fine della cena. E’ stato tutto perfetto e di prima qualità. Il conto è ridicolo. Salutiamo.
E percorriamo al contrario le vie strette di questo bellissimo paese monferrino. Pensando ai tanti modi in cui l’astratta e inetta Italia che governa riesce a uccidere le sue attività più significative.