Il muro del tempo [Lo Straniero]

marenzana_angelodi Angelo Marenzana.

Quello che riesce ad affascinarmi di un romanzo dal titolo così evocativo come L’estraneo (in perfetta assonanza con il blog e quindi già capace di calamitarmi a sfogliarne le pagine), è anche una copertina di grande effetto grafico e la giovane età del suo autore, Tommaso Giagni, catapultato a soli 27 anni tra i titoli “big” dell’editore Einaudi nella collana Stile Libero.

Il risvolto di copertina è chiaro. Protagonista è il cosiddetto mondo giovanile. Ovvero il magico universo che molti scrittori cercano di esplorare. Una specie di Eldorado, i cui confini spesso  vengono varcati dagli editori con l’intento dichiarato di voler avvicinare i “ragazzi” alla lettura. Ma spesso non si fanno i conti con un ambiente difficile da interpretare e rappresentare. E così si finisce per banalizzare, riempire gli scaffali di prototipi senz’anima scolpiti su luoghi comuni, gergali e vuoti, con storie tratteggiate sul lieto fine obbligatorio e adolescenti in grado di fare il salto nel mondo degli adulti nel modo più ovvio e consolatorio. Si tratta normalmente di storie carezzevoli, prive di forza stilistica, dove la complessità dei primi amori spiana la strada della vita. Anche se a volte si lasciano qualche fallimento alle spalle.

Merito di Giagni è giocare la carta dell’esatto contrario. Lui cerca l’anima. E per trovarla siL'estraneo mette alla guida lungo il Grande Raccordo Anulare di Roma, percorre certe strade “che non sono altro che mura”, architetture che segnano le differenze sociali. “Se all’inizio ero intimidito e parlavo poco, adesso sto muto per non fare figure di merda” ci dice il protagonista, figlio del portinaio di una palazzina del centro. Roma bene, per lui, semplicemente “un territorio per il quale ha un passaporto ma del quale non conosce la lingua”. Costretto a fare i conti con una fetta di generazione con cui non ha nulla da spartire, lontano dalla sua espressività, dai vezzi, dalle tendenze, dalla rincorsa al consumismo, alla ricerca di una mascolinità fatta di bellezza rarefatta, di culturismo e depilazione, di spregio per chi non strombazza ai quattro venti la propria voglia di etichetta e superiorità. Scava così a fondo da farmi capire che forse ho smarrito ogni contatto con la generazione di cui ci parla. Racconta di giovani di cui ignoravo la presenza più autentica, anche se ne avevo sentito parlare. Distanti da me, che forse abito al di là di uno di questi muri divisori. In questo caso però, si tratta del muro del tempo.

Giagni ha svelato i contorni di una fuga in avanti che mi ha permesso, giorno dopo giorno, di catalogare come vecchi anche persone che fino a ieri mi sembravano giovani solo perché più giovani di me. Facendomi scordare che le generazioni si rigenerano, che i volti cambiano, le rughe modificano desideri e bisogni. La lettura de L’estraneo mi ha costretto a riconoscere la mia abitudine a classificare i giovani di quest’ultimo secolo come quelli morti in trincea a combattere una guerra di cui avrebbero fatto volentieri a meno, “nel mito della patria e dell’eroe”, oppure giovani ribelli, impiccati e fucilati dagli invasori nazi fascisti, in rivoluzionari bruciati dall’eroina o clandestini con un’arma in tasca. E poi? E poi il nulla. Poi forse sono solo cresciuto (come forse buona parte della mia generazione arroccata sulle proprie convinzioni) senza più riconoscere quelli che crescevano dopo di me.

Giagni si mette in gioco, grazie ad una scrittura intensa, diretta. Lo fa con coraggio ma senza arroganza, senza giudizi, senza moralismo di basso profilo mentre descrive la propria distanza da ciò che lui stesso vive. Un complimento, l’autore se lo merita. Credo che il migliore da fare a uno scrittore parlando di un suo romanzo sia avrei voluto scriverlo io.