I tedeschi avanzavano con organizzazione, freddi e calcolatori; le loro azioni avvolgenti imbrigliavano le linee nemiche per paralizzarne gli attacchi.
Il campo di battaglia era irrorato di sudore e paura e il tempo scandiva lentamente l’inizio della fine.
I nostri apparivano poco armati, impreparati ad affrontare il nemico.
Le gambe, a tratti pesanti, cercavano ora a destra ora a sinistra vie di fuga ma senza risultati.
Tra le linee tedesche, mercenari olandesi e francesi e giovani dell’est europeo lottavano fino allo spasimo, la paga sarebbe stata ancora più succulenta in caso di vittoria.
Gli italiani, forse già sazi di una vita di agi e privilegi parevano accettare la sconfitta con serena rassegnazione.
Meglio arrendersi, meglio apparire palesemente inferiori che sfiancarsi e provare a ribaltare un risultato insperato.
Perfino i nostri mercenari erano entrati nell’ottica della resa comoda e incondizionata.
Osservavamo inerti di fronte ad uno scenario che i cronisti tendevano a dipingere come epico, in realtà risultava triste e drammaticamente inutile.
Come scrivere in grassetto la parola “fine” al termine di un giallo in cui si e’ scoperto il nome dell’assassino.
La metafora di due Paesi che viaggiano a velocità differenti per differente forza di volontà.
Peccato, Juve.