Una persona cordiale, sorridente, disponibile: un Vescovo “alla mano”, monsignor Guido Gallese, tanto chiaro e diretto nelle esperienze che racconta, quanto essenziale e intransigente quando parla di Cristo e della Chiesa. Ecco che cosa è emerso dalla nostra prima chiacchierata con lui in Vescovado.
Ci può raccontare come ha fatto a diventare Vescovo di Alessandria?
[Sorride] Parto dall’inizio, con un po’ di date. Allora… nel 1985 entro in Seminario a Genova e cinque anni dopo vengo ordinato Sacerdote dal Card. Giovanni Canestri, che mi nomina subito vice rettore del Seminario Arcivescovile Maggiore. Qui rimango cinque anni, con un “intermezzo” di qualche mese come vice rettore del Seminario Arcivescovile Minore. Nel 1995 il Card. Dionigi Tettamanzi (non ancora Cardinale, a dire il vero) mi manda “in provincia” a fare il vice parroco della Parrocchia di S. Giuseppe di Priaruggia. Tre anni dopo, divento parroco di Davagna, Moranego, Rosso, Calvari e Marsiglia, dove rimango per altri cinque anni. Nel 2003 il Card. Tarcisio Bertone mi nomina parroco di Bargagli, Traso, Viganego, Terrusso e Cisiano; nel 2007 torno a Genova città, per assumere l’incarico di Responsabile del Servizio Diocesano di Pastorale Giovanile e nel 2008 vengo nominato direttore dell’Ufficio per l’Università della Diocesi. Nel 2012, questo lo sapete, sono stato chiamato ad essere Vescovo di Alessandria.
Tante parrocchie, nella sua storia sacerdotale, e un rapporto privilegiato con i giovani… che bilancio può trarre dalla sua esperienza pastorale?
Un bilancio molto positivo. Ho visto tante cose bellissime, ho conosciuto tanti santi, persone comuni con la santità stampata sul volto. Ho capito che dobbiamo dare prova di vivere realmente il Vangelo, perché è il “fatto” che interessa di più gli uomini e le donne di qualunque età e condizione sociale.
Ci può fare un esempio?
Certamente! Quando in parrocchia tenevo i corsi pre-matrimoniali, spesso considerati come il pedaggio da pagare al prete per potersi sposare in Chiesa, le prime tre lezioni erano, per così dire, Bibbia pura. Lei non ci crederà, ma al termine le coppie mi chiedevano di continuare il percorso di approfondimento biblico che avevamo iniziato insieme. Avevano incontrato qualcosa di veramente interessante per la vita.
Si ha spesso l’impressione che i parroci diano un po’ per scontate le basi della fede, anche nelle prediche domenicali, e si concentrino di più sui piani pastorali…
L’unico piano pastorale adeguato è aderire al Vangelo. Il resto, anche buono e giusto, può diventare un rifugio organizzativo per non coinvolgersi direttamente con chi si ha di fronte. Le dirò di più: questo è il contributo più efficace che possiamo dare alla politica, alla società e all’economia.
Ci può spiegare meglio questo passaggio?
Il “mondo” ha le sue regole, i suoi giochi, non sempre puliti e rispettosi della persona e del creato. Da parte nostra, possiamo cambiare questi giochi semplicemente vivendo il Vangelo. Se saremo veri, il mondo cambierà.
Parliamo di potere, e in particolare degli eccessi del potere, che spesso appaiono ai nostri occhi come inevitabili: corruzione, nepotismo, intrighi. Come se ne esce, secondo lei?
C’è una sola parola che descrive in pieno la nostra speranza: è la parola “conversione”. Anche laica, sia chiaro. La conversione del singolo al bene è l’unico fattore che può rendere il mondo migliore. Sono convinto che questo avverrà.
Torniamo ai sacerdoti della nostra città. Che impressione si è fatto del clero alessandrino?
Punto molto alla comunione con ognuno di loro, e alla loro comunione con me. Mi sembra che sia il punto più concreto da cui partire, e il resto lo farà il Signore. Se i sacerdoti sono in comunione con il loro Vescovo, accettandone e perdonandone le inevitabili mancanze, saranno più facilmente in comunione con i loro fedeli.
Ad Alessandria ci sono molti preti anziani, ma anche alcuni seminaristi…
Sì, i seminaristi sono sei, e sono tutti bravi ragazzi. La prima volta che sono andato a trovarli ho detto loro molto chiaramente di “prepararsi a soffrire”. Ai loro superiori ho chiesto di usare metaforicamente (ma neanche tanto…) la sega e il martello. Si devono rendere conto, questi ragazzi, del lavoro e della fatica che occorre fare per aderire pienamente a Cristo. Il Signore non ti risparmia, mette a nudo ogni tuo difetto e lo “sfibra”, fino a distruggerlo. È meglio che questo lavoro venga fatto in Seminario, in una comunità che ti può aiutare e seguire, piuttosto che dopo, quando sarai prete.
Non basta essere bravi ragazzi, dunque?
No, non basta. Cristo non è venuto per i bravi ragazzi, ma per i peccatori che grazie a Lui si redimono. Il Signore chiede a ognuno di noi di essere Santi… questa è la mia sfida di uomo e di Pastore. L’ho accettata consapevolmente, e spero di essere pronto a morire per il mio gregge. Chi non ama fino a questo punto, non ama veramente.
Andrea Antonuccio