“Illazione – Ragionamento deduttivo con cui si trae una conseguenza da una o più premesse che possono essere anche false”.
DISC, Dizionario Italiano Sabatini Coletti.
L’espressione che va di moda in questi ultimi tempi nella cronaca politica è «larghe intese». Analogamente al «darwinismo sociale», espressione il cui significato – come ebbe a scrive Paolo Rossi in un bell’articolo apparso qualche anno fa su Il Sole 24 Ore – viene dato per scontato, utilizzato “per” spiegare e raramente assunto quale termine “da” spiegare. Il lessema complesso «larghe intese» è entrato nel lessico politologico, ma basta una semplice ricerca su internet per verificare come esso assuma molteplici significati a seconda del contesto in cui viene usato. Così, ad esempio, sul sito “Università on line” si legge che “Per Larghe Intese, o più propriamente «Governo di Larghe Intese», si intende un Governo espressione di un maggioranza parlamentare diversa da quella originaria e allargata a parlamentari appartenenti all’opposizione. Si parla di Larghe Intese quando un Governo non ha … la necessaria maggioranza parlamentare per poter governare e cerca un consenso e un appoggio tra le fila dell’opposizione”. Ma questa definizione non vale quando la ricerca di larghe intese è finalizzata alla elezione del Presidente della Repubblica, elezione per la quale la costituzione prevede, quanto meno nelle prime votazioni, la ricerca di un consenso più ampio rispetto a quella della semplice maggioranza (del Parlamento in seduta comune più i rappresentanti delle Regioni).
Diversa è la definizione che, nel descrivere le varie forme di governo, ne dà la casa editrice Giuffré, specializzata nel lessico giuridico. Curiosando nella rubrica “il Diritto di tutti”, in questa fonte si legge che “LARGHE INTESE è una via di mezzo fra il Governo tradizionale, ossia formato da politici, e il Governo tecnico. Si tratta quindi di un Esecutivo formato sia da politici che da tecnici, di diversa estrazione (sia politica che professionale), che si prefiggono una durata limitata nel tempo (da uno a due anni, a seconda dei problemi da risolvere), per poi passare a nuove elezioni”. Anche questa definizione non fa al caso nostro.
Su Wikipedia, poi, il concetto di «governo di larghe intese o di grande coalizione», non andrebbe innanzitutto confuso con quello di «Governo di unità nazionale», vale a dire quella forma di governo che, nelle fasi di transizione alla democrazia, presuppone “il temporaneo abbandono delle categorie di maggioranza e opposizione nonché di quella di avversario politico, (forza) alla quale non è neppure riconosciuto lo status di avversario, essendo assimilata in tutto e per tutto in quello di nemico”. La stessa fonte chiarisce inoltre che un Governo di unità nazionale, “può essere giudicato necessario in momenti relativamente meno tragici della storia dello Stato, come di fronte ad una importante crisi economica o ad una grave minaccia terroristica. È il caso, in Italia, del governo Andreotti III nonché, limitatamente alla questione economica, del governo Monti o governo d’impegno nazionale”. Un governo di larghe intese o di grande coalizione è quello tedesco del primo governo di Angela Merkel, che “nasce dalla mera constatazione dell’impossibilità di formare una maggioranza parlamentare con le sole forze politiche presentatesi come affini in campagna elettorale ovvero, come nel caso italiano del fallito tentativo di formare un governo da parte di Antonio Maccanico nel 1996, dalla necessità di provvedere in tempi relativamente rapidi alla modifica delle norme organizzative della Costituzione e della legislazione elettorale (le cosiddette “regole del gioco”)”.
Non essendo un costituzionalista, mi arrendo all’evidenza dei fatti e mi chiedo semplicemente: nella situazione attuale chi sono coloro che richiedono la formazione di una «larga intesa» e soprattutto a quale scopo? La richiede innanzitutto il Centro destra, il quale, checché se ne dica, nella precedente legislatura godeva di una solida maggioranza parlamentare in entrambe le camere e ora, non avendo più la maggioranza in nessuna delle due camere, con una «larga intesa» intenderebbe rimanere in ogni caso in gioco. A quale scopo? La mia è una pura illazione, ma non mi sento di escludere che una «larga intesa» per l’elezione del capo dello stato andrebbe sicuramente a vantaggio di chi si sente perseguitato dalla magistratura. Poi, all’interno del PD la chiedono coloro che l’ostinazione del Segretario nell’escludere una qualsiasi forma di intesa con l’alleanza tra il PDL e la Lega ha messo in un angolo. A quale scopo? Il raggiungimento di un’intesa con il centrodestra, per fare ad esempio quella riforma della legge elettorale da tutti avversata (ma che torna sicuramente comoda a chi teme di non essere rieletto poniamo in un collegio uninominale), consentirebbe, ma anche questa è un’illazione, di prendere tempo e riorganizzare le correnti interne in vista di assai probabili nuove elezioni in tempi brevi. Il ricorso ad una «larga intesa», ancorché in alternativa ad elezioni al più presto, l’ha proposta poi il Sindaco di Firenze Matteo Renzi. A quale scopo? Non si può negare, ma anche questa è un’illazione, che il raggiungimento di una «larga intesa» implicherebbe l’uscita di scena di Bersani, la riapertura della lotta interna al partito per la conquista della segreteria e con essa la candidatura a Premier alle prossime elezioni. Un’ultima perorazione in favore di una «larga intesa» era implicita nelle motivazioni con le quali il Presidente Napolitano ha incaricato il Segretario del PD Bersani di verificare l’esistenza in Parlamento di una larga maggioranza (ben sapendo che non sarebbe esistita) a sostegno del suo tentativo di formare un Governo. Non si può escludere, ma questa è l’illazione più fantasiosa, perché parte da premesse sicuramente false, che la richiesta di una «larga intesa» sia stata concordata dal Presidente della Repubblica con l’allora Presidente del Consiglio Berlusconi per rassicurarlo al momento della richiesta delle dimissioni che un anno e mezzo fa hanno aperto la strada al Governo Monti.
Ecco dunque alcune altre concezioni dell’espressione «larghe intese», concezioni che imporrebbero alle varie fonti citate in precedenza di riscrivere il significato di quel lessema complesso. E’ inutile aggiungere che, personalmente, sono contrario ad ogni forma di «larghe intese»: il PD, ancorché indebolito rispetto alle previsioni, ma pur sempre uscito semi-vincitore alle ultime elezioni politiche, con i voti della “scelta civica” di Monti possiede la maggioranza (anche senza ricorrere all’appoggio esplicito del M5S, non potendo peraltro escludere che qualche parlamentare di questo movimento possa aggiungere il suo voto nel segreto dell’urna), per eleggere, qualora lo volesse, Romano Prodi a Presidente della Repubblica. Questa soluzione della crisi politica avrebbe a mio avviso i seguenti vantaggi: 1) di mettere definitivamente fuori gioco l’attuale coalizione di centrodestra (che, con ogni probabilità, a quel punto si scioglierebbe); 2) di aprire uno scenario di cambiamento del tutto nuovo. Un ipotetico Governo del (nuovo) Presidente, infatti, non necessariamente presieduto dallo stesso Bersani, al quale venisse affidato l’incarico di procedere in tempi brevi a riscrivere la legge elettorale; definire (finalmente) il conflitto d’interesse; proporre una nuova legge per il finanziamento dei partiti sul tipo dell’8 per mille; rifare una legge sul falso in bilancio in linea con quelle esistenti negli altri paesi europei, nel giro di poco tempo potrebbe portare il paese a libere elezioni, con una destra e una sinistra interamente rinnovate. Questa, che a me pare la via maestra, non è, peraltro, che una semplice illazione.