L’altro ieri [Il Superstite 132]

arona-2di Danilo Arona.

La realtà quotidiana è cupa e pure dissestata. E il sottoscritto, come tutti i superstiti, ha questo clamoroso difetto che consiste nel rifugiarsi nei ricordi per trarne auspici a vantaggio di un possibile domani. Se poi un grande amico dei Sixties ritrova in un polveroso cassetto una serie di fotografie da lui scattate nell’estate del ’69 ai piedi del palco della SOMS di “Valle”, laddove si esibivano cinque giovani di belle speranze che si facevano chiamare “Privilege”, e me le manda via posta elettronica come regalo di Pasqua, capirete che non ho scelta.

Ancora una volta glisso dunque su quel che mi circonda e non mi piace per andare con la memoria (e con le foto di cui fornisco un piccolo assaggio…) a quell’epoca piena di stimoli, di musica straordinaria, di futuro immaginato. Intanto i cinque:  a parte me, Enzone Bezzi, Gianmaria Bolognini, Vito Oliva e Franco Cuoco, appunto la prima formazione dei Privilege. Nel ’70 ce ne fu una seconda, un po’ diversa, ma procediamo per gradi…

In quella sera, immortalata dagli scatti, di fine giugno avevo appena sostenuto la maturitàI privilege classica con il minimo sindacale e lo denuncia il taglio di capelli – che allora abbondavano – relativamente corto. Eravamo un gruppo molto trendy e giravamo un sacco per i paesi del circondario, spesso con “invasioni di campo” nei reami del liscio, dove alle richieste di valzer e tanghi rispondevamo con Cream, Jimi Hendrix, Brian Auger (Vito era – ma lo è ancora – straordinario nel riprodurre la timbrica e la tecnica del grande Brian) e giusto qualche canzone italiana per non finire massacrati alla fine delle serate. Un po’ (tanto) di questo clima di scontro culturale è transitato nelle pagine di Rock – I delitti dell’uomo nero (Edizioni della sera) e, per chi volesse approfondire, garantisco che tutta la prima parte intitolata “Gli anni del serpente” è al 90% cronaca autentica. Appunto, le disavventure di un gruppo di rock nelle praterie del basso Piemonte: robe che i Blues Brothers ci hanno poi plagiato senza pietà nel loro celeberrimo film. Al proposito vi garantisco che noi suonammo sul serio dentro un pollaio con tanto di rete davanti. Tornando a quella sera in Valle raggiunsi vette di demenza giovanile, allora giustificabile, suonando la Gibson con i denti (in realtà fingevo) e dietro le spalle (e non fingevo) durante una versione alquanto psichedelica di Hush dei Deep Purple: di fianco al palco si trovava una coppia di relativamente anziani, per come li vedevo allora, un lui e una lei che mi guardavano allibiti se non trasecolanti. Alla fine del pezzo, rumoroso senza dubbio, si alzarono e fuggirono. Proprio così, di corsa. Sul palco Franco Cuoco cantava, e non era affatto male, con la sua voce roca un po’ Joe Cocker; Vito si friggeva le dita, mentre Gian Maria aveva i suoi problemi a tenere il tempo; Enzone ancora oggi è bassista in attività, ed è giusto così. Ma Franco Cuocol’attenzione del vostro occhio clemente dovrebbe captare la bontà delle “tappe” (la vestimenta da palco, intendo) e non dovrebbe passare inosservata la lunghezza dei colletti delle camicie indossate da me e da Cuoco, delle vere e proprie “vele” in grado di sollevarti dal suolo se tirava un vento bastardo.

Quei Privilege lì suonarono come matti quasi sino a fine anno. Poi un cupo venerdì di dicembre scoppiò la bomba di Piazza Fontana a Milano. E noi la sera dopo ci recammo proprio a Milano a esibirci all’Hotel Palace. Serata cupissima, come potete immaginare. Al ritorno Enzone e io sul camioncino Wolkswagen ci schiantammo dalle parti di Tortona nel culo di un Tir che per fortuna andava per la sua strada. Distruggemmo buona parte degli strumenti. Enzo assorbì il colpo con la sua ciccia cheArona  19 anni allora abbondava. Il mio naso non si salvò e ancora oggi non è salvo. Vito ne rimase traumatizzato e abbandonò il gruppo; lo sostituì un diciottenne che da allora è un amico del cuore, Rudi Bargioni. I Privilege, i secondi, ripartirono nel 1970 facendo da base a Sergio Leonardi, uno che spopolava cantando “Whisky”. Ma l’aria che girava intorno si era incattivita. La musica non suggeriva più buoni presagi. Eravamo diventati adulti, nel sangue.