170 soci, 2 milioni e 700 mila euro di fatturato, e prodotti di qualità riconosciuta: pesche, ciliegie, albicocche, mele, pere susine. Il presidente Pietro Cairo e il direttore Giampiero Chiapparoli raccontano come la cooperativa tortonese sta vincendo la sfida del mercato. Guardando al futuro.
La Volpedo Frutta di Monleale, nel tortonese, sembra davvero la realtà ideale per sfatare diversi luoghi comuni: chi è abituato a pensare che cooperativa significhi crisi o sopravvivenza (purtroppo stimolato da cronache alessandrine anche recenti), o che l’agricoltura sia un’attività per anziani, dovrebbe farsi un giro da queste parti, e ne uscirebbe rinfrancato, e con una prospettiva diversa. Perché davvero l’impressione è di trovarsi di fronte ad un progetto imprenditoriale solido, con forti radici nelle tre valli del territorio (Curone, Grue, Ossona), che cresce di anno in anno e che guarda avanti, grazie soprattutto alla presenza di un numero crescente di soci giovani, “spesso diplomati o laureati”, che nell’ultimo decennio hanno deciso di investire in coltivazioni specializzate, e (in questo caso si può dire senza timore di smentita) ora ne stanno cogliendo i frutti: dalle pesche alle ciliegie, ma anche pere, albicocche, mele, susine, pomodori e patate. A guidare la cooperativa, forte di circa 170 soci, c’è un tandem di esperienza, che rappresenta la storia stessa della Volpedo Frutta, fin dai suoi inizi: il presidente Pietro Cairo (“sono stato tra i soci fondatori, nel 1993 e lo ricordo con orgoglio”) e il direttore Giampiero Chiapparoli, presidente per 12 anni, a partire dal 1995, e tutt’ora “deus ex machina” operativo, “ma come consulente esterno, pagato pochi mesi all’anno: perché l’attenzione ai costi è fondamentale”.
E’ il presidente Cairo a ricordare, con pudore contadino ma anche con fierezza, gli inizi del percorso: “siamo partiti in una quarantina, veri pionieri. Personalmente ho un’azienda vitivinicola, ma credevo alla necessità di un percorso cooperativo di qualità, per valorizzare l’enorme patrimonio di queste valli sul fronte della produzione di frutta di qualità. Dopo un paio d’anni i soci erano un centinaio, e il fatturato intorno ai 600 mila euro attuali. Se siamo arrivati agli attuali 2 milioni e 700 mila euro, e ad essere una realtà solida, con conti in attivo e capacità di investire, lo dobbiamo poi al nostro incontro con Giampiero Chiapparoli, che sia pur in diverse vesti dà il suo contributo alla Volpedo Frutta dal 1995”. E’ lo stesso Chiapparoli ad aiutarci a comprendere meglio la realtà imprenditoriale, i filoni delle attività e i progetti. “Oggi la Volpedo Frutta rappresenta circa l’80% del comparto ortofrutticolo delle tre valli – spiega – e con ampie prospettive di crescita: sia perché l’agricoltura specializzata è tra i pochi comparti a non aver particolarmente risentito della crisi, sia perché nel nostro territorio ci sono ancora tanti terreni incolti, che possono tornare ad essere davvero produttivi”. Ma qual è il “miracolo” della Volpedo Frutta? E si tratta davvero di miracolo, oppure più realisticamente del risultato di una seria programmazione nel tempo, e di una progettualità di lungo periodo? Chiapparoli propende, naturalmente, per questa seconda ipotesi: “lavoriamo seriamente da vent’anni – continua – credendo in quel che facciamo, e mettendo in campo tutte le nostre energie. C’è un dato che, più ancora della crescita costante del fatturato, ci inorgoglisce: ed è che, mentre 15 anni le statistiche dicevano che, sul nostro territorio, il 60% dei titolari di aziende agricoli aveva più di sessant’anni, oggi siamo al 48%”. Largo ai giovani, dunque: perché davvero sembra che, almeno qui nel tortonese, siano sempre più numerosi i trenta quarantenni, “spesso con studi in agraria, ma non mancano i diplomati e laureati in altre discipline: persino filosofi”, che hanno deciso di rilanciare in maniera innovativa l’azienda agricola di famiglia, ampliandola, oppure anche di crearne una nuova di zecca, acquistando i terreni da pensionati che via via hanno dismesso l’attività.
I magnifici dodici
“Si tenga conto – spiega il direttore della Volpedo Frutta – che abbiamo 12-13 aziende che, complessivamente, rappresentano il 50% del fatturato della cooperativa, e sono tutti i soci più giovani. Per questo siamo convintissimi che sia più che mai necessario investire sul futuro: anche perché l’onda lunga non è finita, e sappiamo di diversi altri ragazzi che sono intenzionati ad investire nell’attività agricola, e a specializzarsi nella produzione di frutta e verdura”. Quella splendida dozzina, verrebbe da dire parafrasando il famoso film western: un gruppo di giovani che sta contribuendo a rivitalizzare l’intero territorio, e come sempre succede in questi casi fa da stimolo e da traino per altri ragazzi. “Ci sono realtà – continua Chiapparoli – che sono partite da 20 mila euro di fatturato annuo, e oggi ne fanno 60-70 mila. Abbiamo un socio che fattura 200 mila euro, e può tranquillamente puntare ai 300 mila, così come altri che lo seguono a ruota”.
Ma come funziona, concretamente, l’attività della cooperativa? I singoli soci conferiscono alla struttura che ha sede nella piazza di Monleale (ma anche un altro punto operativo: quello della frazione “Barca” di Montemarzino, per la lavorazione delle mele) i frutti della loro attività: e poi cosa succede? “Innanzitutto – spiega il direttore – noi chiediamo ai nostri soci il conferimento di tutto il prodotto, a parte naturalmente la piccola vendita diretta ai privati che ognuno è libero di organizzarsi, come da tradizione. I soci raccolgono pesche, ciliegie e quant’altro, e lo consegnano alla cooperativa o già “lavorato” in cassette (o, come si dice da queste parti, “platò”), oppure ancora da confezionare, e noi carichiamo soltanto il costo effettivo delle operazioni”. La Volpedo Frutta ha una sola dipendente a tempo indeterminato, che gestisce tutto l’anno le attività amministrative, e conta nei mesi estivi su circa 18 dipendenti “stagionali”. “Erano 6 o 7 fino a pochi anni fa – precisa Chiapparoli – e anche questo dimostra quanto siamo cresciuti. Comunque, il nostro vero compito è la commercializzazione dei prodotti: che sono di fascia alta per il mercato (dalle pesche di Volpedo, che da sole fanno il 50% del fatturato, alle ciliegie un tempo di Garbagna, e ormai diffuse in tutte e tre le valli, alle mele e alle susine), e che rappresentano un marchio di valore, e da preservare”. L’80% della produzione della Volpedo Frutta finisce sugli scaffali della grande distribuzione organizzata: dalla Coop al Bennet, da Sogigros (Basko) a Gulliver e Iper. Il resto viene collocato sui mercati generali: Torino, Genova e tutta la riviera, Bergamo, Milano. “Ovviamente i nostri prodotti – spiega il direttore – non possono avere un quantitativo fisso garantito: la quantità, e qualità, di certe coltivazioni dipende dal clima, dalle gelate, da tanti altri fattori. Per cui il 20% per i mercati generali è la nostra valvola di sfogo, la camera di compensazione. Il core business, invece, è rappresentato dalla grande distribuzione: che offre garanzie di pagamento stabile a 60-90 giorni (là dove purtroppo i singoli negozi di ortofrutta “arrancano” sempre più), e a cui chiediamo anche un’adeguata valorizzazione dei nostri prodotti”. Le pesche di Volpedo, insomma, magari costano qualcosa in più di analoghi prodotti provenienti chissà da dove, ma ci sarà anche un perché: “garantiamo un frutto a residuo zero, cioè senza traccia di fitofarmaci nel momento in cui finisce in distribuzione: ci sono livelli minimi consentiti per legge. Ma noi da parecchio tempo abbiamo deciso di essere drastici, radicali: e la clientela mostra di apprezzare”. Non solo lei, veramente, considerato che gli uccelli sono tornati a fare i nidi, e ad allevare i loro piccoli, all’interno dei pescheti della zona, e questo è la miglior garanzia di qualità. Certificata dalla natura, appunto.
Ma la frutta della cooperativa di Volpedo non disdegna altri circuiti: dai prestigiosi marchi internazionali come Harrods e LaFayette, fino alla distribuzione diretta a piccoli negozi e privati, che si “approvvigionano” direttamente nella sede di Monleale.
Un milione e 300 mila euro di investimenti in 10 anni
E sul fronte investimenti? “Negli ultimi 10 anni – sottolinea Chiapparoli – abbiamo reinvestito circa 1 milione e 300 mila euro in macchinari per la lavorazione dei prodotti, e si tratta di un aspetto essenziale per chi, come noi, intende guardare al futuro. Abbiamo 250 mila euro di capitale sociale, ossia siamo una delle cooperative certamente più capitalizzate del territorio, più altri 250 mila euro accantonati come riserve, e 150 mila euro come fondo rischio. Con le banche per fortuna non abbiamo debiti, se non il convenzionale “anticipo” annuale di 200 mila euro, che viene restituito regolarmente nel corso dell’anno, e che comunque abbiamo ridotto ormai a 80 mila, e porteremo presto a 60 mila”. Una realtà, dunque, sana e solida anche sul fronte finanziario, il che non guasta. Ma qualcosa che potrebbe andar meglio c’è, ed è l’attenzione da parte dello Stato, e delle istituzioni. Qui il presidente Cairo e il direttore Chiapparoli si esprimono all’unisono: “ma le pare possibile che l’agricoltura debba sottostare a balzelli di ogni tipo, che non hanno riscontri in Europa? Dobbiamo pagare persino per smaltire le scatole dei prodotti fitofarmaci utilizzati nei campi, per non dire dell’accanimento che ultimamente si sta sviluppando sui trattori: vogliono mettere la copertura obbligatoria, sostenendo che sia più sicuro in caso di ribaltamento: a parte che è l’esatto contrario, e spesso la copertura diventa una gabbia che ti impedisce di ‘saltar via’: ma poi come credono che possa entrarci, un trattore con copertura, in un pescheto? Per non dire delle nuove regole ipotizzare sulla revisione dei mezzi, e sulla nuova patente ad hoc per i trattori: diciamocelo, sono solo forme di nuova tassazione, e null’altro. E le nostre associazioni di categoria, che fanno?”
Ettore Grassano