di Bruno Soro
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“Ci sono macchine e ci sono lavoratori in grado di farle funzionare, ma il tutto rimane inattivo per insufficienza di domanda effettiva.”
Luigi Pasinetti, “La teoria economica della domanda effettiva”, in Sviluppo economico e distribuzione del reddito. Saggi di teoria economica, il Mulino, Bologna 1977, pp. 48-49.
La pagina de Il Sole Junior di domenica 24 marzo è interamente dedicata alle idee e alla visione intellettuale di John Maynard Keynes. Da vetero-keynesiano mi sono subito immerso nella lettura dei tre servizi che vi compaiono: due di essi sono a firma di Fabrizio Galimberti e il terzo dell’antropologa culturale, saggista e scrittrice Claudia Galimberti.
Non è la prima volta che questi due brillanti giornalisti si propongono di divulgare ad un ipotetico “lettore-bambino” le idee dell’inventore della Macroeconomia, nonché della messa a punto della maggior parte dei concetti su cui si fonda la moderna Contabilità nazionale. E’ infatti della scorsa settimana la pagina de Il Sole Junior che, prendendo lo spunto dal poemetto satirico settecentesco “La Favola delle Api” di Bernard de Mandeville, è stata dedicata al “paradosso keynesiano della parsimonia”. Nell’ottobre dello scorso anno, Inoltre, lo stesso Fabrizio Galimberti sottolineava, in “L’austerità e la rivincita di Keynes”, la necessità di attuare politiche economiche espansive per uscire dalla crisi economica che attanaglia i paesi della UE, tipicamente riconducibili alle idee keynesiane.
Nella pagina di domenica scorsa sono pregevoli sia il ritratto intellettuale di Keynes che muove dal contesto filosofico e sociale dei primi anni del Novecento di Claudia Galimberti, sia la spiegazione del meccanismo che sottende alla fissazione del prezzo dei titoli di Stato di Fabrizio Galimberti. Anzi, la spiegazione che quest’ultimo propone circa il legame che sussiste tra il “prezzo dei titoli”, il “tasso d’interesse” (definito come rapporto tra il valore della cedola e il prezzo di emissione del titolo sul mercato primario) e il “rendimento” dei titoli stessi (il rapporto tra il valore della cedola ed il prezzo del titolo una volta scambiato sul mercato secondario), costituisce una sintetica ma efficace spiegazione della teoria keynesiana della domanda di moneta per motivi speculativi. Per contro, rischia invece di apparire un po’ più superficiale l’articolo in cui la teoria di Keynes sembra essere costretta nell’affermazione che “lo Stato spenda per sostenere la domanda”.
Il ricondurre l’essenza della teoria keynesiana alla necessità dell’intervento pubblico (a maggior ragione se in deficit), espone infatti la complessità e la profondità della visione di questo grande economista alle critiche della nutrita schiera degli anti-keynesiani. Con la sua Teoria Generale Keynes si riprometteva infatti di descrivere il funzionamento di una economia monetaria di produzione (la cosiddetta economia reale), in contrapposizione all’opposta visione neoclassica incentrata sul funzionamento di una economia di mercato basata sullo scambio. Entrambe queste visioni hanno un loro fondamento, ma forniscono spiegazioni differenti a problemi alquanto diversi. La visione dell’economia di mercato incentrata sullo scambio pone infatti al centro dell’attenzione il problema dell’efficienza, del comportamento degli agenti economici nel perseguimento del proprio interesse e del modo in cui le scelte individuali interagiscono sul benessere sociale. L’economia monetaria di produzione concentra invece l’attenzione sul modo in cui la produzione di beni e servizi finali da parte delle imprese interagisce con le decisioni di spesa degli operatori economici (le famiglie, le imprese, lo Stato e il resto del mondo). Ora, dal momento che produrre richiede tempo, necessita la preventiva predisposizione di una certa capacità produttiva e non sussiste alcun coordinamento tra le decisioni di spesa degli operatori e quelle assunte dalle imprese nel momento in cui decidono la quantità di beni e servizi da produrre, non è affatto detto che la “domanda aggregata” (le decisioni di spesa degli operatori economici) venga a coincidere con l’”offerta aggregata” (il prodotto interno lordo).
Come ebbe a sottolineare lo stesso Keynes, la necessità di un intervento correttivo sul sistema economico consegue dalla constatazione che “…quanto più ricca è la collettività, tanto maggiore tenderà ad essere il divario fra la sua produzione effettiva e quella potenziale” [J.M. Keynes, La teoria generale dell’occupazione dell’interesse e della moneta, p. 171 dell’edizione italiana a cura di A. Campolongo del 1971]. Poiché a tale divario (il cosiddetto gap) corrisponderà un certo ammontare di disoccupazione involontaria, al fine di contrastare questa forma di disoccupazione si rendono necessarie misure di politica fiscale e monetaria poste in essere da due entità indipendenti: lo Stato per quanto attiene la politica fiscale (intesa come gestione del bilancio dello Stato) e la Banca Centrale per quanto attiene la politica monetaria (intesa come gestione della quantità di moneta in circolazione, vale a dire il controllo della cosiddetta offerta di moneta). Tuttavia, mentre l’efficacia della politica monetaria è soggetta ad alcune stringenti limitazioni (non è affatto detto che una riduzione dei tassi d’interesse stimoli la crescita degli investimenti reali, specie quando i tassi di interesse sono molto bassi), la politica fiscale sembra essere più efficace (la riduzione delle imposte, la messa in opera di infrastrutture, ma anche l’attuazione di misure volte a ridurre l’iniquità nella distribuzione personale dei redditi, hanno un impatto diretto sui consumi delle famiglie e quindi sulla “domanda aggregata”).
In conclusione, in tempi di crisi, come sottolinea lo stesso Fabrizio Galimberti, ha poco senso chiedersi se lo Stato possa spendere “soldi che non ha, indebitandosi o addirittura stampando moneta”. Ciò in quanto, “(q)uando la casa brucia bisogna chiamare i pompieri, senza chiedersi se l’acqua degli idranti potrà causare inondazioni o chiedersi se è bene lasciare la casa bruciare così la gente impara che non bisogna fumare a letto”. Tanto più che mentre il Tesoro statunitense e la Federal Reserve hanno da tempo chiamato i pompieri, l’Unione Europea, divisa, politicamente debole, con la politica fiscale lasciata alla competenza degli stati nazionali e una BCE ingessata a guardia dell’inflazione, sembra intenzionata a stare a guardare la casa che sta bruciando.