Da troppo tempo ormai il concetto di “banca” è cambiato: non più il rifugio dei risparmi di una vita ma uno spauracchio che determina le sorti della società e i destini dei Paesi.
Gli ultimi anni poi sono stati devastanti: dai bond argentini alla Lehman Bros., per continuare con lo spread che da diciotto mesi è il nostro nord magnetico e concludendo con le banche cipriote. Nel ’29 non c’ero.
Quando ai tempi del liceo si facevano le raccolte alimentari per i bambini del Terzo Mondo, ci si stupiva che i containers partiti dall’Europa carichi di beni alimentari di prima necessità e lunga conservazione non arrivassero mai a destinazione.
Quando da insegnante realizzo concerti per raccogliere fondi a favore dell’Unicef mi chiedo se è davvero necessario che l’80% di qualche centinaio di euro restino in Italia per finanziare l’apparato. Bazzecole di fronte all’Ordine Mondiale degli Istituti di Credito!
Occorre un ribaltamento dell’equazione che regola le nostre vite. Nel tempo ci è sfuggito più che qualcosa. Siamo noi esseri viventi e pensanti a formare la società oppure è la società a fagocitare il nostro essere vivi?
Quando un uragano si avvicina corriamo ai ripari, preghiamo che se un terremoto ci sorprende non accada di notte, restiamo in attesa della prossima glaciazione. Ma tutto questo è più grande di noi.
Gli istituti bancari invece sono regolati da uomini, quindi non mi pare difficile che ci si possa sedere intorno a un tavolo (del resto non fanno altro dalla mattina alla sera, riunirsi seduti) per risolvere un problema mondiale: cambiare poche regole e ridistribuire la ricchezza.
Comunque fino a quando ciò non accadrà io mi adeguo: domani lascerò due euro al mendicante d’angolo, qui sotto casa, e visto che siamo in confidenza gli chiederò il resto di uno perché non avrò spiccioli per il caffé.