di Giancarlo Patrucco
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E’ indubbio che il recente risultato elettorale abbia inferto una brutta scoppola al PD. Come si dice Oltre Tevere, a proposito di conclavi, “entri Papa ed esci cardinale”. Ebbene, Bersani è entrato al seggio da premier e ne è uscito da aspirante. Forse. Quasi.
D’altronde, gli errori sono stati numerosi e significativi. Non puoi impostare una campagna schiacciando l’occhio a Monti e ritrovarti poi il professore al 10% e Grillo che ti soffia di fianco. Non puoi farti cullare dalle primarie per scoprire dopo che il popolo del PD non coincide col comune sentire del più vasto popolo democratico. Non puoi dire parole generiche sulla casta quando milioni di elettori della tua parte politica si aspettano che tu ne faccia il centro del programma di governo. Quello vogliono. E se ne vanno.
Ma, sabato scorso, Bersani ha un’impennata. Sembra che i candidati proposti dal PD per la presidenza della Camera e del Senato siano Dario Franceschini e Anna Finocchiaro. Due esimie persone, però espressione dell’apparato come testimonia la loro precedente funzione di capigruppo alla Camera e al Senato nella conclusa legislatura. Insomma, due candidati che non sono certamente in grado di suscitare grandi entusiasmi in un Parlamento nuovo nuovo e, soprattutto, inadatti ad attrarre voti che pur servirebbero per garantirne il successo, almeno a Palazzo Madama.
Poi, la svolta. Le voci dicono che hanno contribuito a un ripensamento le pressioni dei Renziani, quelle dei giovani virgulti del PD e anche un intervento dell’alleato Vendola. Così, sabato è finalmente festa anche per noi. La festa che abbiamo atteso invano il 25 febbraio, invece di rosicchiarci le unghie per la delusione.
Alla Camera viene eletta Laura Boldrini, un passato ben speso come portavoce ONU per i rifugiati. Al Senato viene eletto, con una maggioranza rinforzata dai grillini, Pietro Grasso, già magistrato e capo della DIA, da sempre impegnato nella lotta alle mafie.
I loro discorsi di ringraziamento portano nelle due aule parole che non si sentivano da un po’. La Boldrini fa l’elenco delle povertà vecchie e nuove: i disoccupati, gli esodati, i giovani senza lavoro, le donne, il Sud, i carcerati di cui facciam finta di non accorgerci perché abbiamo già i nostri guai a cui pensare. Grasso parla del bisogno di legalità. Che non è soltanto il rispetto delle leggi, delle regole e di chi è chiamato a farle rispettare, ma anche pulizia morale, correttezza, trasparenza, limpidezza, nei pensieri come nelle opere.
Parole sante, ma che hanno il pregio di risuonare anche vere, visto il passato di chi le ha pronunciate.
Le Camere si sbracciano e noi, davanti ai televisori, ci stropicciamo gl’occhi. Siamo persino increduli. Prima Papa Francesco, ora questi due. Allora è vero: si può fare, si può sperare. Cambierà.
Lo stesso Grillo, per la prima volta, sembra spiazzato. Prima bastona, ma già oggi è propenso a perdonare quella pattuglietta dei suoi che ardimentosamente decide secondo coscienza. E lo dichiara pure: come si faceva ad astenersi, rischiando Schifani? La base rincara e rincuora: ognuno vale per uno. E io ho votato te.
Certo, niente è concluso, anzi il passaggio più importante deve essere ancora affrontato. Dice Bersani che il sentiero rimane stretto, strettissimo. Concordiamo, però potrebbe essere allargato se fosse messa in campo una proposta all’altezza delle due di cui abbiamo parlato.
E’ vero. Le campane a festa che abbiamo sentito sabato contenevano anche un messaggio funesto per il segretario del PD. Quelle campane dicevano, in buona sostanza, che il sentiero potrebbe farsi più agevole se si togliesse di mezzo lui. Una scelta dolorosa, difficile, per un uomo che è arrivato a una spanna dal cielo. Ma, se la scelta fosse tra un governo possibile e un probabile tracollo del partito nelle inevitabili elezioni prossime venture, crediamo che Bersani non avrebbe esitazioni. Sceglierebbe il PD, da uomo retto qual è.
Rimane da dire della delusione che abbiamo provato di fronte agli atteggiamenti e ai comportamenti del centro-centro-destra in questa fase. Li abbiamo messi tutti insieme perché anche Monti ha fatto le sue. Quel balletto ostinato a cui ha costretto Napolitano non gli fa onore. Quelle schede bianche nell’urna, di fronte a un uomo come Pietro Grasso e dopo tanti predicozzi da premier sul valore della legalità, ci rendono di lui una figura ambigua, più sfuggente di quella tutto d’un pezzo che ci aveva sempre mostrato.
Del PdL e di Berlusconi, che dire poi? La gazzarra fuori e dentro il Palazzo di Giustizia di Milano aveva già dimostrato ad abundantiam che il partito ormai è tenuto insieme soltanto dalle esigenze di chi lo comanda. Tagliato fuori dai giochi che contano, il rientro viene forzato così attraverso manifestazioni e diktat che hanno l’unico scopo di rinforzare l’unità interna, disperdendo all’esterno, contro chiunque possa fare da bersaglio, le tensioni che altrimenti potrebbero allargarne le sue evidenti crepe.
Berlusconi deve uscire dai guai suoi in ogni modo. Oggi inveisce contro la Boccassini, domani propone la carta del voto anticipato, ma il suo proponimento essenziale è ben chiaro: aprire la porta del governo, forzando la mano al PD.
Mi raccomando. Quella porta tenetela chiusa.