La selezione dei peggiori

soro_1di Bruno Soro

“Le buone opinioni non hanno valore. Ciò che importa
è chi le ha”.
K. Kraus, Detti e contraddetti, Adelphi, Milano 1972

Porsi le domande giuste è il primo passo per ottenere una risposta corretta.  Nel suo recentissimo pamphlet “Finale di partito” (Einaudi, Torino 2013), Marco Revelli si interroga su una questione cruciale per il futuro della nostra democrazia: “per quale ragione, oggi, al contrario di ieri, i meccanismi della democrazia rappresentativa e di «partito» operino una selezione negativa. Perché, anziché i migliori, selezionino i peggiori”. Mi ero già posto questo interrogativo nell’aprile dello scorso anno nel mio “Perché gli asini al potere”, contributo nel quale riconducevo la causa della selezione perversa al finanziamento pubblico ai partiti. Una pratica abolita con un referendum plebiscitario, ma prontamente resuscitata dai partiti della Seconda Repubblica, decuplicandone l’entità. Non ho dubbi che ciò abbia contribuito in maniera significativa a far sì che persone “senza arte né parte” abbiano pensato (e perseguito) di risolvere il proprio problema economico facendosi cooptare all’interno della «casta», ovvero di quella dell’oligarchia al potere che, come ci spiega Revelli nel suo libro, è intrinsecamente connessa alla stessa «forma partito». A prescindere dalla propria convinzione politica, ciascuno di noi è sicuramente in grado di fare qualche nome di «asini al potere». Basta infatti scorrere gli elenchi dei consiglieri di amministrazione delle aziende partecipate, delle amministrazioni locali, provinciali e regionali, delle fondazioni bancarie, su su fino al Parlamento, per imbattersi in persone delle quali nessuno si fiderebbe neppure di farsi fare la spesa al supermercato.

Dato l’esito delle elezioni politiche, esito dal quale è scaturita la situazione di stallo che impedisce la rapida formazione di un Governo, la lettura del pamphlet di Revelli è forse utile a gettare un po’ di luce sul fenomeno del Movimento 5 Stelle, quale esempio di partito-non partito (in quanto «movimento», appunto, se non più propriamente «setta»), fenomeno che inquieta non poco le coscienze di molti elettori che l’hanno votato, ma soprattutto, della stragrande maggioranza degli italiani che non lo ha votato. A vedere i volti dei nuovi parlamentari del Movimento, ma più ancora nell’apprendere le motivazioni e le capacità che li hanno indotti prima a partecipare alle parlamentarie e poi ad essere eletti, c’è di che trasecolare. E tuttavia, una cosa a me pare certa: che difficilmente riusciranno ad essere qualitativamente peggiori di alcuni (molti?) dei rappresentanti che sedevano sui banchi del Parlamento (e di alcuni che ancora vi siedono). Il problema torna quindi all’interrogativo di fondo: perché i partiti, anziché i «migliori» scelgono i «peggiori»?

Non essendo uno specialista in materia di Scienza della politica, mi limiterò a segnalare il libro di Revelli senza neppure la presunzione di tentare di recensirlo. Proverò tuttavia ad esprimere una mia opinione, non so quanto buona, ma dettata dalla mia esperienza professionale. Il problema della selezione perversa è insito, a mio giudizio, nel meccanismo della cooptazione. Tale meccanismo è tipico di molte istituzioni: dall’università alle aziende sanitarie, dalle fondazioni bancarie alle congregazioni dei vescovi e dei cardinali, nonché di molte professioni (quelle del giornalista o dell’avvocato, solo per fare due esempi), vale a dire di attività nelle quali il giudizio sulle capacità di chi deve essere cooptato non può che essere espresso dai membri della stessa corporazione (chi deve sceglie un buon primario un altro primario o un funzionario di partito?). In questo contesto accade che se chi effettua la cooptazione sceglierà uno altrettanto se non più valido di lui, nella corporazione si rafforzerà l’insieme dei migliori. Viceversa, se chi effettua la cooptazione e pur essendo egli un migliore sceglierà (per varie ragioni) uno peggiore di lui, all’interno della corporazione si rafforzerà l’insieme dei peggiori. Infine, se chi coopta appartiene all’insieme dei peggiori e, per non sfigurare nel confronto con il cooptato sceglierà uno peggiore di lui, si metterà in moto quel processo di selezione perversa che ha portato l’oligarchia attualmente al potere nel mondo della politica ad essere saldamente in mano all’insieme dei peggiori.

Si può interrompere il processo di selezione perversa? Probabilmente si, immettendo nel sistema politico un po’ di concorrenza tra i partiti nella raccolta del finanziamento pubblico (abolendo la legge attuale e promuovendone una nuova basata sul sistema dell’8 per mille con possibilità di finanziare i singoli partiti); sostenendo poi una nuova legge elettorale basata su collegi uninominali a doppio turno (sul tipo di quella per l’elezione dei sindaci, che non garantisce affatto che gli eletti siano necessariamente dei migliori, ma consente quanto meno al secondo mandato l’eliminazione di chi si ritiene non abbia ben operato); inoltre, e dal momento che il reddito pro capite degli italiani è sceso al di sotto della media europea, limitando gli emolumenti dei parlamentari al livello medio vigente in Europa; infine, parametrando gli stipendi dei dipendenti pubblici a quelli del settore privato. Ma in che modo si può realizzare tutto ciò? Utilizzando innanzitutto l’istituto referendario e avanzando nel contempo proposte di legge di iniziativa popolare. Sono peraltro perfettamente consapevole che, quand’anche una simile proposta venisse attuata, essa potrebbe non funzionare, dal momento che nel paese dei furbi, “varata la legge si trova subito l’inganno”. Tuttavia si inizierebbe ad incentivare l’allontanamento dalla politica di un consistente numero di peggiori.