Giuseppe Garlando, presidente Api ma anche imprenditore di successo con forte vocazione all’export, ci accompagna in un viaggio “a tutto campo”, inquadrando le sorti economiche (e non solo) del nostro territorio in un contesto internazionale. Ma parliamo anche della crisi dei “distretti”, e degli effetti del dissesto del comune di Alessandria
“Rispetto a sei mesi fa, la situazione è ancora peggiorata”. Se ad affermarlo è Giuseppe Garlando, presidente provinciale Api ma soprattutto imprenditore di successo (anche perché la sua azienda è fortemente specializzata, e orientata ai mercati esteri), è il caso di ascoltare con attenzione, per cercare di capire quale scenario ci attende, e quali possono essere le possibili vie d’uscita da una crisi del mercato industriale e produttivo che sta “strangolando” molte imprese del nostro territorio.
Presidente Garlando, è sempre convinto, come sostenne in passato, che la politica abbia grandi responsabilità se il Paese è in queste condizioni?
Assolutamente sì, con un’aggravante: Mario Monti ha commesso, alcuni mesi fa, un errore gravissimo accettando di trasformarsi egli stesso da tecnico in politico e leader di partito. Se non si fosse candidato, perdendo le elezioni, oggi sarebbe, in questa palude di fango che ci circonda, l’unica alternativa per cercare di proseguire un’opera di risanamento del Paese, appena abbozzata. Invece si è bruciato, e le conseguenze, in termini di caos politico che si riflette sui mercati e sul mondo del lavoro, è sotto gli occhi di tutti.
Ma qual è, se esiste, la via d’uscita per il nostro territorio?
Proverei a fare una riflessione più ampia, e mi interrogherei su quale sarà l’evoluzione del mondo, di cui in fondo Alessandria e la sua provincia sono solo periferia della periferia. E’ quel che succede altrove che influenzerà anche ciò che noi saremo e faremo (o non faremo) nei prossimi anni. O partiamo da qui, o giriamo a vuoto.
E nel mondo cosa sta succedendo?
Ci sono per come la vedo io tre grandi aree che hanno un ruolo trainante, e che peraltro sono, tutte quante, alle prese con problemi sociali enormi. La prima realtà è la Cina, che sta vivendo contraddizioni gravissime: ha un’economia che galoppa, sia per come sa aggredire i mercati esteri, sia per la crescita esponenziale dei bisogni interni. Però stiamo parlando di un Paese arretratissimo sul fronte dei diritti civili e dei lavoratori. In Cina vivono ufficialmente un miliardo e 200 milioni di persone, ma ci sono almeno altri 200 milioni di “fantasmi”, cioè cinesi che ufficialmente non sono registrati da nessuna parte. Se non è una polveriera sociale quella! In più, la politica del figlio unico obbligatorio ha portato, oltre alla barbarie che possiamo immaginarsi in termini di selezione, anche al fatto che, oramai, in Cina il numero dei maschi è enormemente superiore a quello delle femmine. Ulteriore dramma.
La seconda potenza/area di influenza sono gli Stati Uniti?
Esattamente: oramai seconda economia, e non prima, anche se faticano ad accettarlo. Anche lì con sperequazioni enormi: 300 mila persone detengono il 46% della ricchezza del Paese, dato mostruoso. Con un razzismo crescente, nei confronti dello stesso Obama, e un declino che cercano di mascherare con esibizioni di potere militare, reale o anche simulato: si veda l’exploit che negli States hanno gli sport violenti. Sa cosa mi ricordano oggi gli Stati Uniti? La fase finale dell’impero romano. La decadenza “mascherata” esibendo i gladiatori nell’arena….
E, a proposito di decadenza, c’è poi nonna Europa….
Sì, il terzo polo mondiale siamo noi europei. Sono europeista convinto, da sempre. E credo che, se l’Unione Europea sapesse dialogare e convivere con i russi, convincendoli ad adeguare una serie di parametri agli standard europei (sul piano bancario e finanziario, della trasparenza economica, e della lotta alla corruzione là dilagante), un ingresso della Federazione Russa nell’Unione Europea consentirebbe il vero salto di qualità: nascerebbe la vera area leader del mondo, di cui c’è assoluto bisogno.
Quindi Berlusconi, grande amico di Putin, aveva visto giusto?
(sorride, ndr) Ma no, io auspico l’esatto contrario: l’europeizzazione di una Federazione Russa post Putin: che è l’emblema della vecchia Unione Sovietica, con tutti i suoi limiti (più evidenti a noi che a casa loro, dove non è che Putin lo si possa criticare impunemente), e naturalmente dal loro punto di vista nazionalista anche dei pregi. Ma Putin è il vecchio, il passato: io guardo oltre, e spero…
Quindi, presidente Garlando, non solo Alessandria ma l’intera Italia è in balìa di eventi che non potrà determinare?
A livello macropolitico e macroeconomico sicuramente è così. Le racconto un aneddoto significativo: pochi anni fa ero a Vienna per lavoro, come mi succede spesso. C’erano tabloid inglesi e tedeschi in una location in cui facevo attesa, e su uno di questi, un giornale tedesco, leggo che la Walmart, il più grande rivenditore al dettaglio al mondo, e fra le più importanti multinazionali del pianeta, per espandersi in Cina (al ritmo di un mega centro commerciale alla settimana) aveva deciso di cedere tutte le sue attività in Germania alla Metro tedesca, per una cifra enorme, mi pare 125 miliardi di euro. Ecco, oggi il mondo è controllato da grandi multinazionali di queste dimensioni, di cui neanche noi conosciamo i nomi dei personaggi che decidono, che tirano le fila nei consigli di amministrazione. Sono loro, nel mondo industriale, della grande distribuzione e della finanza, a condizionare le grandi scelte della politica, e non viceversa. E questo deve far riflettere, e un po’ spaventa.
Proviamo a calarci bruscamente nel nostro “particolare”: se questo è il contesto, qual è oggi lo stato di salute del sistema delle piccole e medie imprese della nostra provincia, e quali le sue prospettive?
Partiamo dai numeri: noi, come Api, abbiamo ancora circa 650 aziende iscritte, che danno lavoro complessivamente a circa 15 mila persone: negli ultimi anni una certa “scrematura”, con cessazione di attività che non hanno retto l’urto della crisi, è già avvenuta. Questo però non significa che la burrasca sia finita, tutt’altro: non passa giorno senza che qualche amico o collega imprenditore mi chiami, per segnalarmi situazioni drammatiche, per chiedere un consiglio, un aiuto, una via d’uscita.
Esiste quella via d’uscita?
Dipende dai casi, purtroppo. Chi lavora prevalentemente con l’export (e sul nostro territorio, per fortuna, non siamo in pochi) non solo regge, ma in diversi casi, se ha saputo innovare quanto ad offerta di prodotti e distribuzione, continua a crescere. Viceversa, chi ha un mercato locale, inteso anche come nazionale, sta davvero soffrendo, e guardando avanti non vede segnali positivi.
La provincia di Alessandria è sempre stata nota per la diversificazione dei suoi distretti: sono tutti in crisi?
La maggior parte sì, e anche con non poche responsabilità degli imprenditori. Non possiamo sempre autoassolverci, e dare tutta la colpa al contesto e alla politica, che pure ne ha di gravissime. Però ci sono eccezioni: il polo dolciario novese, ad esempio, soffre meno di altri comparti, perché ha saputo attrezzarsi per tempo.
Il capoluogo, Alessandria, ha sempre più i contorni di una città del parastato, pure quello in crisi drammatica. I dati Api lo confermano?
Purtroppo è così: consideri che il dissesto del comune di Alessandria ha rappresentato per tante piccole e medie imprese del territorio un’autentica mannaia. Buona parte dei 216 milioni di euro di debiti dell’ente oggi di competenza dei liquidatori, e che saranno saldati chissà quando e chissà in che misura, sono fatture non pagate a fornitori locali. E come Api sappiamo di realtà che hanno dovuto arrendersi, e di altre in cui l’imprenditore resiste “mettendoci del suo”, magari ipotecando i beni di famiglia.
Ma ha senso? Il buon imprenditore, magari anche cinicamente, non è colui che sa capire quando è il momento di investire, ma anche di disinvestire?
(sospira, ndr). Certo, ha ragione. Ma esiste una dimensione emotiva, affettiva e anche di orgoglio sociale, perché no? Il piccolo imprenditore che ha costruito la sua azienda nei decenni, e che magari ha assunto nel tempo i suoi amici d’infanzia, con cui giocava a pallone all’oratorio, non ragiona solo in termini di convenienza personale, come fosse una multinazionale. Non stacca la spina a cuor leggero, mi creda. E io temo che possano verificarsi addirittura nuovi fatti tragici, che naturalmente vanno scongiurati. Ma quando il clima diventa di disperazione….
Un imprenditore sano, con azienda che regge alla crisi o magari anche cresce, cosa può fare per aiutare gli altri, il tessuto che lo circonda?
Purtroppo spesso poco, al di là della solidarietà personale. Nel senso che, in un contesto di forte specializzazione verticale, le filiere di territorio stanno perdendo la loro ragion d’essere. A volte si preferisce puntare su fornitori lontani, magari esteri. Ma perché forniscono un servizio e un supporto che qui non si riuscirebbe a mettere in piedi. E’ la conseguenza della delocalizzazione dei mercati, ma anche delle competenze.
E Api, come associazione, come può intervenire?
Il nostro sforzo va soprattutto nella creazione di un supporto di sostegno, istituzionale e non istituzionale: cerchiamo insomma di canalizzare le opportunità, di fare rete e di mettere in relazione magari realtà che non si conosco, creando contatti con mercati anche lontani, per stimolare l’apertura di nuovi percorsi. Ma anche, su scala locale, di agevolare i rapporti con la pubblica amministrazione, soprattutto in casi complicati come quello del comune di Alessandria. Ma la bacchetta magica, questo credo sia evidente, non ce l’abbiamo, e la realtà con cui confrontarci è quella, durissima, che conosciamo tutti.
Ettore Grassano