Trenta valichi per l’Amur

Aquila realedi Vjačeslav Michajlovič Skrjabin (Molotov).

Che forza!,  sempre la solita, insostenibile, leggerezza del potere…

Qualche giorno fa una simpatica informativa dei servizi segreti sulle “pericolose frange anarco-insurrezionaliste” che stanno infiltrando i movimenti contro il Tav e il Tav-Terzo Valico.  Sarà!… ma se permettete ho dei forti dubbi, per non dire che mi viene da ridere, anche perché io ho sempre e solo visto tanta gente comune (come fa tanto radical-chic dire così!) alle manifestazioni.  Cosa vorrà dire poi questa locuzione?, farebbe presupporre che esista della gente speciale: come potremmo dire? ah ecco!, una casta… invece, alla prova dei fatti, secondo me ci sono solo i cittadini e solo loro dovrebbero essere sovrani per le decisioni prese sulla loro pelle,  quelle che influenzeranno per lustri la loro vita e quella dei loro discendenti.

Ricordo distintamente che, sia nella Santa Madre Russia che in tutta l’Unione, noi non avemmo riguardi per le popolazioni, quando si trattava di grandi opere, in particolare di quelle ferroviarie. La Siberia e la Mongolia ebbero una parte rilevante nelle operazioni atte a garantire nuovi accessi  al Pacifico e al Mar Glaciale Artico. Io ebbi parte attiva sia nella messa in opera che nell’ultimazione della Transmongolica e della ferrovia Bajkal-Amur. Da sempre le popolazioni dell’estremo oriente russo (oggi quasi interamente siberiane) si concentravano lungo le coste, tra le più pescose del mondo, e nel bacino del fiume Amur, l’unico fiume siberiano che non sfocia in un mare glaciale, la cui riva destra appartiene alla Cina.

La devastazione ambientale della regione cominciò verso la fine degli anni Venti,  quandoTransiberiana iniziò l’industrializzazione, continuata poi da Stalin a tappe forzate.  Gran parte dell’industria fu spostata ad est e raggiunse vette di eccellenza, sacrificando, come sempre, le popolazioni autoctone sull’altare della ragion di stato. Le trenta etnie indigene divennero presto una minoranza, schiacciata ed emarginata dagli interessi economici, grandissimi già all’epoca: il cirillico divenne l’unica lingua consentita, addirittura era previsto l’arresto per gli insegnanti che avessero continuato ad utilizzare la madre lingua, per i bambini furono resi obbligatori nomi russi e le popolazioni nomadi furono “aiutate” a divenire sedentarie.

E i trafori… e le voragini a cielo aperto che scavammo… ah!, quanto sarebbero piaciuti agli sterratori nostrani. Solo per la Bajkal-Amur: 150 ponti e 30 tunnel (voi siete dei neofiti, principianti, al confronto). E poi scavi a perdita d’occhio, miniere a cielo aperto, di carbone, di zinco, sostanze venefiche a profusione che si disperdevano nell’aere, nelle falde acquifere e nei pozzi, contaminando migliaia di chilometri di territorio. E non andammo veramente per il sottile, popolazioni deportate, interi villaggi spostati: impedimmo ai valorosi cavalieri nomadi, eredi delle orde di Činggis Qaγan, coloro che, con i Khanati, avevano dominato il territorio russo e avevano originato i primi clan di kazaki, anche solo di avvicinarsi ai loro territori ancestrali. Con un gioco di parole lo chiamavamo “esproprio improprio” e vi garantisco che le parole “nell’interesse superiore del popolo” suonavano vuote anche allora. In tempi recenti, gli studiosi hanno, addirittura, appurato che abbiamo stravolto le abitudini della gazzella mongola, pensate alle genti che da secoli si muovevano e dimoravano in quegli splendidi luoghi.

Tornando ai giorni nostri, esaminando il passato con le informazioni e i dati che possediamo oggi, l’unica considerazione possibile è che quando si scava, senza conoscere a fondo la composizione del terreno su cui insistono gli scavi, con improvvisazione, non si può sapere a quali pericoli si esporranno le popolazioni nel futuro. Io non mi sento assolutamente tranquillo, pensando ai miei e ai vostri figli, al pensiero che migliaia di mezzi pesanti, carichi del fantomatico “smarino” del terzo valico, composto da sostanze di cui nessuno (degli organi preposti) riesce a quantificare, in maniera imparziale, la pericolosità, vengano stoccati e transitino per la provincia (percorrendo, sembra, itinerari stabiliti sulla carta), liberando polveri malsane che, per inciso, si andranno ad aggiungere agli altri problemi ambientali del territorio. Tanto per non dimenticare: “il polmone verde” di Spinetta Marengo, che inquina le falde e l’aria (tranne, naturalmente, in virtù di un vero miracolo, la zona dell’ex zuccherificio), le discariche, attive ed inerti (che tanto inerti, secondo me, non sono), e l’inceneritore che per lunghi periodi profuma, in maniera pervasiva, l’aria della zona, regalandoci un’atmosfera da girone dantesco. In ultimo, non possiamo dimenticare la Bormida che, pur non essendo più marrone, non credo proprio si sia, taumaturgicamente, ripulita dalla sostanze tossiche che penetravano in profondità il fango delle rive e dell’alveo.   Per non parlare poi del dissesto idrogeologico che, molto probabilmente, interesserà un vasto territorio, come è successo in altri siti, causando, tra l’altro, il prosciugamento delle falde acquifere. Addio alle magiche atmosfere delle valli che conosciamo… rimarrà solo più il ricordo.

Tornando ai tempi dell’Unione, pensate che la gran parte del lavoro fu fatto dai deportati dei Gulag e dai volontari (nel caso della Bajkal-Amur). Per i primi, addirittura esisteva la famigerata “GULždS” o Glavnoe upravlenie lagerej železnodorožnogo stroitel’stva (Direzione centrale dei lager per le costruzioni ferroviarie). Ah!, allora sì che si sapeva come trattare coloro che si opponevano al progresso: oltre che il danno della prigionia anche la beffa di partecipare ad opere talvolta inutili. Per tutti coloro che hanno sempre interpretato il comunismo non come forza propulsiva dell’umanità, tesa  al superamento dello sfruttamento, ma come mera sopraffazione del prossimo, potrebbe essere un’idea interessante anche questa, quasi una tentazione (pensate che, anche da noi, ad esempio, venivano imprigionate pericolosissime madri di famiglia, trovate in possesso di armi letali, quali mattarelli e mestoli, per non parlare degli infanti trascinati alle adunate sediziose: tutti ricorderete la scena della carrozzella, immortalata ne “La corazzata Potëmkin”).

E i media, le fonti di informazione classiche: quante analogie con quelle odierne!. Ma i nostri giornali e le nostre televisioni erano condizionate dal regime di terrore dovuto alla “dittatura del proletariato” (ahahah!, scusate, ma questa panzana, dalla morte di Vladimir Ilic, mi ha sempre fatto sganasciare), mentre i vostri organi di informazione si omologano al potere quasi senza bisogno di aiuto (se non quelli economici, di Stato, e non è poco, per forgiare opinioni “indipendenti”). Ecco allora che chi la pensa diversamente viene demonizzato: non popoli giustamente preoccupati per il futuro dei propri territori, ma retrogradi che vogliono impedire un (costoso ed inutile) progresso, pericolosi sovversivi che tentano di impedire la realizzazione del corridoio Portogallo-Ucraina. Neanche quando, insieme a Yumjaagiin Tsedenbal, provai gli allucinanti decotti degli sciamani Mongoli raggiunsi stati di alterazione tali da portarmi a vette oniriche simili. Da Lisbona a Kiev?, per San Basilio!: funghi di prim’ordine.

Ma un’altra strada si potrebbe tentare, e la Pravda e l’Izvestia erano maestre in questo: riuscirono, con la propaganda, a reclutare migliaia e migliaia di volontari che, in buona fede (sprovveduti se ne trovano sempre, in ogni epoca, pronti a bersi qualsiasi frottola, del “principio di autorità” ammantata), si recarono a lavorare sulle ferrovie, scontrandosi con disorganizzazione, burocrazia, condizioni climatiche avverse, diventando ben presto bersaglio delle bande di fuorilegge che imperversavano nelle regioni interessate dalle grandi opere ferroviarie. Non a caso la Bajkal-Amur fu ideata nel 1924 e completata, all’incirca, nel 1984. Tempi accettabili, solo 60 anni, e costò quasi 10 miliardi di rubli, il doppio di quello che si era preventivato. Da noi solo il doppio?, mmmh…ho letto da qualche parte che i 6,2 miliardi previsti per il terzo valico non bastano più, ce ne vanno degli altri: ma guarda un po’!… chi avrebbe mai potuto immaginarlo?.

Last TrainA quanto sembra, a livello nazionale e locale, anche da voi, non si capisce bene dove si voglia andare a parare: “disorganizzazione” è un eufemismo. Ultimamente, in periodo pre-elettorale, sembrava che tutti stessero diventando no-tav, espropri sì, espropri no, ai quali si è opposto un GRANDE MOVIMENTO NO TERZO VALICO che ha fatto sentire, pacificamente, come è suo costume, la forza delle proprie ragioni (e della verità, che è tutta dalla sua parte) e una assoluta indecisione del fronte si-tav, forse dovuta all’alterno defilarsi dei propri ispiratori. Assolutamente inconcepibile, sempre secondo me, l’effimera, cauta e ossequiosa, opposizione di alcune municipalità e l’aleatoria apertura dei sindacati, fatte a singhiozzo e in base a condizioni politiche estemporanee, legate a convenienze economiche (e non ambientali) o al solito ricatto occupazionale. Ricatto occupazionale (la famigerata, inesistente, ricaduta sul territorio) che, ormai, è solo più retaggio delle democrazie incompiute come quella italiana.

E che dire dello schiaffo morale, dato ad un territorio dissestato economicamente, fatto di spese enormi, decise passando al di sopra della tanto decantata “sovranità popolare”, mentre ai cittadini vengono richiesti sacrifici fuori misura, per riparare ai danni perpetrati dagli amministratori della prima e della seconda repubblica (non oso pensare alla terza). Miliardi di euro per opere ormai obsolete e, quasi sicuramente, inutili che potrebbero essere, certamente, meglio impiegati per la collettività, in iniziative utili veramente.

Se poi guardiamo i curricula delle varie imprese coinvolte, le grandi opere portate (quasi) a compimento nell’America Ispanica e in Africa: apriti cielo!, c’è proprio da stare tranquilli…

Quindi, andando oltre all’inutilità di queste opere, alle nebulose notizie di un lento ed inesorabile defilarsi dei francesi, piuttosto che dei portoghesi, ai tentennamenti delle ferrovie italiane, all’impossibilità, addirittura, di riunire intorno ad un tavolo gli interlocutori, i controllori e tutti coloro che fino a qualche tempo fa si radunavano allegramente, celebrando il “dio della logistica”, rimane solo da mantenere alta la guardia e partecipare in massa alle iniziative, pacifiche, dei movimenti che, salvo ordini contrari, si concretizzeranno nelle assemblee, nei presidi e nelle manifestazioni, prossime, ad Alessandria, Novi Ligure e Serravalle.

Noi non ci siamo riusciti, ma voi siete ancora in tempo per salvare, in maniera pacifica, le vostre terre dallo scempio!.

Vi lascio con una interessante metafora politica di Pasolini che, se non altro, ci può fare concludere che tutto si trasforma e nulla si distrugge, in sostanza nulla è cambiato da allora   (e lui parlava, in parte, dello strapotere democristiano):

[…]

“Nei primi anni sessanta, a causa dell’inquinamento dell’aria, e, soprattutto, in campagna, a causa dell’inquinamento dell’acqua (gli azzurri fiumi e le rogge trasparenti) sono cominciate a scomparire le lucciole. Il fenomeno è stato fulmineo e folgorante. Dopo pochi anni le lucciole non c’erano più. (Sono ora un ricordo, abbastanza straziante, del passato: e un uomo anziano che abbia un tale ricordo, non può riconoscere nei nuovi giovani se stesso giovane, e dunque non può più avere i bei rimpianti di una volta). 

Quel “qualcosa” che è accaduto una decina di anni fa lo chiamerò dunque “scomparsa delle lucciole”.

[…]

 “Ad ogni modo, quanto a me (se ciò ha qualche interesse per il lettore) sia chiaro: io, ancorché multinazionale, darei l’intera Montedison per una lucciola”. [e non è il solo!]

Pier Paolo Pasolini-Scritti Corsari