La vicenda della precaria 36 enne del mondo dell’editoria, tale Chiara Di Domenico, che ha attaccato pubblicamente la più giovane e già affermata collega Giulia Ichino (nella foto), figlia del giuslavorista Pietro, si presta a diverse osservazioni di qualche interesse.
La prima, ossia il regolamento di conti del Pd nei confronti dello stesso Ichino, colpevole di aver mollato il partito due mesi fa, per candidarsi in Senato con Monti, la lasciamo da parte, tanto poco ci importa se Ichino verrà eletto, e con chi.
Più interessante, invece, guardare ai risvolti socio culturali della piccola querelle (destinata al rapido dimenticatoio, naturalmente) tra giovani donne. Naturalmente, non conoscendo nessuna delle due, non possiamo sapere se trattasi di due capre, o di una capra e un’aquila, o di due piccoli geni con storie diverse, perché così è la vita. E non ci fidiamo troppo dei ritrattini agiografici dei media.
Epperò: è un fatto che la precaria Di Domenico ha scelto la strada più breve per dare visibilità al suo messaggio, ma anche per farsi impallinare. Nel senso che attaccare una singola persona è sempre sgradevole: e se lo si fa senza risconti precisi, si rischia pure di prendere una cantonata clamorosa. Per quel che ne sappiamo, infatti, la giovane Ichino potrebbe essere davvero uno dei migliori talenti della sua generazione, anzi diamo per scontato che lo sia. Naturalmente dando anche per acquisito però che, se fosse figlia di un operaio e di una casalinga, il suo percorso sarebbe stato assai più faticoso.
Ed eccoci al punto vero, ed interessante: e infatti in pochissimi se ne sono occupati, preferendo fare il tifo per Chiara, o per Giulia. L’Italia è da sempre un paese feudale, guidato da una casta di dominanti, al di sotto dei quali si muove una selva di signorotti di territorio, con la propria schiera di vassalli e servi della gleba.
Il merito, questo sconosciuto: questo è il tema che prima o poi qualcuno dovrà provare a scandagliare, e che sta spingendo alla fuga (o anche al disimpegno cinico) centinaia di migliaia di persone, stanche di sbattere la famosa testa contro il muro.
Tuttavia, se la logica della cooptazione (ossia della conoscenza diretta e relazionale, che fa più figo e tollerante: di raccomandazione parlano soltanto più gli sfigati) funzionasse davvero, non è mica detto che debba essere considerata per forza il diavolo. Il punto è che per una Ichino che pare sappia fare alla grande il suo mestiere (anche se è chiaro che a vent’anni la mandava papà, o chi per lui), ci sono ovunque schiere di somari impreparati, che occupano posizioni ereditate, o ottenute per vie traverse. Ed è una logica che, in fondo, nessuno che conti qualcosa mette in discussione davvero: per un Berlusconi spregiudicatamente ingenuo (fino alla sgradevolezza quando parlava del figlio dell’operaio e del professionista), ci sono in giro tanti “sinistri” che appartengono alla categoria “chiagni e fotti“. Ossia si scandalizzano con il Berlusca, ma nei fatti sono assai meno meritrocratici del Cavaliere.
Forse, se Chiara Di Domenico avesse contestualizzato un po’ di più il discorso, avrebbe evitato di finire così rapidamente “dalla parte del torto”. Che pure è posizione in cui, Bertolt Brecht ci insegna, qualcuno si deve pur sistemare.