Di tanto in tanto mi concedo con Fabiana una serata old times. Ovvero, usciti dal lavoro, film alle 8, in città e non all’UCI di Spinetta, e poi alle 10 a mangiare un boccone dove capita, magari nel locale di qualche amico. Così è stato qualche sera fa perché volevo vedere, al cinema senza attendere l’uscita in DVD, The Impossibile, notevole opera sullo tsunami tailandese del 2004. Va visto al cinema col dolby e lo schermo gigante, è uno di quei film lì.
Così andiamo, posteggiamo nei paraggi, prendiamo i biglietti, ci contiamo in quanti siamo nella sola galleria (la platea è chiusa) e arriviamo a quota 6 e, una volta iniziata la proiezione, per due ore viaggiamo dentro alla struggente ed emozionante storia di una famiglia separata in modo brutale dall’onda assassina. Particolare che non c’entra nulla: quattro persone che piangono in continuazione (perché il film tira la lacrima…) nel corso dello spettacolo fanno veramente un casino immane. Se poi uno di quelli che piangono mastica pure il pop corn, la magia di entrare in sincrono col film è quasi del tutto fottuta.
In ogni caso si esce alle 10 e, nonostante le migliaia di morti devastati che abbiamo visto, un po’ di appetito non manca, se non altro per l’effetto nostalgia.
E qui ci becca una prima sorpresa. Okay, siamo a metà settimana, magari in TV trasmetteranno pure una partita di calcio, ma, santi numi, non c’è nessuno. La città è vuota, del tutto, come in una vecchissima canzone di Mina. E di canzoni dei tempi che furono ce ne starebbero pure altre due, Le strade di notte di Gaber e Tutta mia la città dell’Equipe 84, giusto a ricordarvi che sono anzianotto. Scegliamo il posto e attraversiamo un pezzo di centro, Corso Roma in pole position; e quando dico nessuno, credetemi, significa che non incrociamo anima viva. Alessandria potrebbe presentarsi in questo modo alle 3 di notte, ma sono le 10, azz!
Arriviamo dall’amico che mi aspetta perché mi sono annunciato col cellulare. Mi aspetta volentieri perché, appunto, è un amico. Da lui mangio bene e nella quantità opportuna data l’ora. Trovo solo lui col personale e, tranne un tavolo sparecchiato e da poco abbandonato, non si vede gente. Evito battute tipo “serata moscia” ma lui mi precede dicendomi che durante la settimana da un po’ di tempo è sempre così, che si lavora solo durante il week-end, ma con tre giorni alla settimana più o meno pieni le gestioni non si risolvono. Dopo di che mangiamo (benissimo), paghiamo, facciamo ancora qualche discorso vacuo su Alessandria e i suoi problemi (che poi fanno il paio con quelli della nazione, più o meno distribuiti equamente) e usciamo per andare a raggiungere la macchina. Ovvero, un altro bel pezzo di centro senza avvistare un essere umano. Hanno gettato la bomba al neutrone, si diceva negli anni Ottanta per raggiungere dubbie vette di spiritosaggine. Però, se qualcuno uscisse da un portone e ci piantasse un coltello alle costole, ci avvisterebbero l’indomani mattina alle 7. Ci fiondiamo in macchina e torniamo a casa: fine della serata old times. Tanto siamo certi che sabato sera le cose andranno ben diversamente.
Però sono convinto che abbiamo lanciato, magari per combinazione, uno sguardo sul futuro. Periferie implose nel centro città, silenzio, angoli oscuri e percezioni distorte. E non c’entrerebbe neppure la sola Alessandria in tanta visione. No buono, direbbe Andy Luotto.