Lavorare meno, lavorare tutti non è che sia propriamente uno slogan innovativo: è un evergreen diciamo, che arriva direttamente dagli anni Settanta. Ma che, di recente, sembra essere la ricetta a cui in tanti (da Beppe Grillo al sindaco di Alessandria, Rita Rossa) si stanno “aggrappando”, chi come slogan acchiappavoti, chi come tentativo estremo di trovare una via d’uscita ad una situazione potenzialmente “esplosiva”.
Con una differenza, rispetto a quei tempi là: allora lavorare meno (e anche “lavorare con lentezza“, da una canzone di Enzo Del Re che ispirò poi un film di Guido Chiesa) rispondeva ad una ideologia di progressiva “liberazione dal lavoro” per fare nella propria vita cose diverse e più gratificanti. Un progetto collettivo che fu sconfitto dall’arrivo degli anni Ottanta, e dall’affermarsi del modello esattamente opposto. Con tutto quello che ne è derivato, in termini di benessere di massa, ma anche di consumi assolutamente voluttuari diventati perno di un’economia sempre più “finanziaria”, ora in fase di “accartocciamento”.
Ma stiamo all’oggi, e a casa nostra, o finiremmo lontano, sia pur su temi assai interessanti. E oggi non stiamo discutendo di un’ideologia di “liberazione dal lavoro”, ma di lavoro che non c’è, e sul fronte pubblico di risorse scarse, e conti in “profondo rosso”.
Ad Alessandria, universo comune e partecipate (ma il principio potrebbe estendersi presto anche ad altre realtà, pubbliche e private), lavorare meno lavorare tutti può essere via d’uscita, reale e per quanto tempo?
Rita Rossa ha parlato chiaro, e la critica che le si può fare è magari che doveva farlo già qualche mese fa, per evitare illusioni pericolose.
Naturalmente la dietrologia è una mamma sempre incinta, per cui non manca chi si esercita sul dissesto evitabile o meno, con tutte le conseguenze del caso.
Ma pare evidente che, dissesto o non dissesto, la valanga di debiti c’era e c’è (si può discutere sulla natura del suo accumulo, e sui diversi livelli di responsabilità di Tizio o Caio), e non si sarebbe potuto comunque continuare a nasconderla a lungo sotto il tappeto.
Dopo di che, si dirà che in campagna elettorale sono state fatte certe promesse, e che oggi non vengono mantenute. Spazio a tutte le valutazioni, per carità. Ma prendiamo anche atto che, oggi, fare il sindaco di una città come Alessandria è una mission da kamikaze davvero poco invidiabile, e che da Roma (dove ne vedremo delle bellissime, credetemi) non arriverà nessun aiuto strutturale e risolutivo. Dobbiamo farcela da soli insomma, questo è sicuro.
La bufera è in pieno svolgimento, a Palazzo Rosso e nelle partecipate. Sindaco e giunta non hanno altra alternativa che imboccare una strada in maniera decisa, e giocarsi tutto: ci devono credere loro per primi, naturalmente, e poi far fronte anche all’inevitabile protesta popolare. Sempre legittima, ma non sempre per forza nel giusto.
Ovvio che l’ideale sarebbe continuare così: anzi, perché no, magari incentivare nuove assunzioni e consulenze pubbliche come ammortizzatori sociali rispetto ad un mercato privato del lavoro che sta “collassando”. Ma, realisticamente, pare che le scelte siano due sole: lavorare meno lavorare tutti, appunto. O licenziamenti più o meno di massa, comunque selettivi e naturalmente con i “paracadute” del caso.
Entrambe le strane sono irte di ostacoli, e rispondono naturalmente a logiche diverse. La prima, oltretutto, ossia meno lavoro e retribuzioni ridotte per tutti (ma anche i dirigenti per favore, o vi farete “impallinare” in partenza) è assai più “friabile”, e parte da un presupposto di “temporaneità” che è tutto da verificare, e su cui né Rita Rossa né altri possono dire parole certe. Troppe le variabili esterne in campo. E rimane il punto: come si campa oggi con 800-900 euro al mese? Ma è semplice: con i lavoretti “in nero” già in passato citati esplicitamente a modello economico da Berlusconi. Dite quel che volete, ma quell’uomo lì è la coscienza dell’italiano medio, per questo è ancora non solo in galleggiamento, ma pronto a tornare in sella nonostante sia al tramonto anche fisico.
E i sindacati? In entrambi i casi (riduzione di orario, o meno posti di lavoro) punteranno i piedi, e faranno “ammuina”, perchè dire no al ridimensionamento dei lavoratori e contrattare è il loro mestiere. Ma lo sanno anche loro che così non si va avanti.
Fermiamoci qui, per ora: la carne al fuoco è tanta. Dite la vostra, e poi ne riparliamo.