E’ un grido di dolore, una richiesta d’aiuto, un urlo di rabbia o che altro? Certamente nella mobilitazione nazionale di Rete Impresa Italia (rappresentata ad Alessandria ieri mattina dall’incontro in Camera di Commercio, “La politica non metta in liquidazione le imprese”), c’è la sintesi del momento difficilissimo che il Paese sta attraversando.
Alle porte ci sono elezioni politiche che in tanti, fra gli cittadini-lavoratori, temono non essere risolutive, non foss’altro perché sulla scena compaiono più o meno sempre gli stessi personaggi che questo stato di cose hanno contribuito a generare. E la raffica di scandali, con ingiurie e minacce reciproche (“tu sei peggio di me, e se non la smetti tiro fuori le carte”) certo non aiuta ad essere ottimisti.
Il tessuto delle piccole e medie imprese è esangue, lo sa bene chiunque ci lavori all’interno, o semplicemente provi a confrontarsi con gli addetti ai lavori, imprenditori e lavoratori.
“In tutta la provincia ci sono in costruzione al massimo un paio di nuovi capannoni, l’edilizia è completamente al palo”, mi diceva l’altro giorno un serio, e scoraggiato, operatore del settore. E in tanti altri comparti i segnali sono dello stesso tenore.
Ma i politici, soprattutto quelli locali, possono fare qualcosa, oltre a presenze di testimonianza? La mia sensazione è che non sia così: perché oggi la politica viene davvero sopravvalutata, e le decisioni che contano stanno comunque in poche, pochissime mani. A voler essere cattivi a tutti i costi, si potrebbe dire che il politico di piccolo-medio cabotaggio vive già da un po’ di millantato credito: sa di non contare nulla, ma per tanti intuibili motivi gli spiace confessarlo. E i più seri cercano almeno di svolgere una funzione di ascolto, e di amplificazione del disagio.
Come si possa uscire da questa situazione di crisi strutturale è davvero difficile dirlo. Ci sono i teorici del crollo, secondo i quali solo arrivando sul fondo (con un evento traumatico che, più che guerra, potrebbe oggi chiamarsi crack finanziario del sistema), poi si potrà ripartire da zero. Ma è uno scenario da incubo, che “taglierebbe le gambe” a più di una generazione, e produrrebbe uno scenario di indigenza di massa.
Molto più sensato, dunque, lavorare ad uno scenario di riforme strutturali e infrastrutturali vere. Quelle che sono mancate negli ultimi vent’anni in questo Paese, e alle quali oggi qualcuno vorrebbe ovviare facendo pagare un conto salatissimo alle classi più deboli, e al mondo delle piccole e medie imprese.
E’ qui che servirebbe, appunto, la Politica. Ma quella con la P maiuscola, di cui in Italia (se mai l’abbiamo conosciuta) si sono perse le tracce da diversi decenni. Giusto dunque insorgere, con un cahier de doléances e un elenco di richieste esigenti e puntuali. Ma è sufficiente, quando ci si rende conto che dall’altra parte c’è un muro di conservazione, vecchie “malabitudini”, incompetenza? Ho l’impressione, parlando con imprenditori anche solidi (ce ne sono ancora per fortuna, magari spaventati dal contesto e dubbiosi sul da farsi, ma ci sono) che la fiducia nei confronti di questa politica sia ai minimi (ma va?), ma che al contempo non ci sia ancora, ad Alessandria come a Roma, la capacità di elaborare proposte e vie d’uscita alternative. Insomma, siamo ormai nella fase della manifestazione plateale di un disagio diffuso. Ma manca la scintilla, il progetto condiviso in cui le forze migliori di questo Paese possano idenficarsi, tornando a crederci, e ad investire. Brutta situazione di stallo!