Niente di nuovo sotto il sole. Chi conosce un po’ Gianfranco Comaschi, assessore al Bilancio della Provincia, sa che è persona di poche parole, ma con ottima dimestichezza con numeri e tabelle. E anche il presidente Filippi, non dimentichiamolo, per studi e pregresse esperienze amministrative è tutt’altro che digiuno di contabilità pubblica.
La questione è però nel manico. Non negli sprechi della politica (che pure vanno eliminati, se ci sono: non importa se sono modesti), ma nella mission impossible imposta da Monti. Lui le Province non le chiude (perché il tecnico/mega consulente di banche/senatore a vita ci ha preso gusto, e vuol continuare a fare il premier), ma toglie l’acqua in cui i pesci nuotano. A Palazzo Ghilini, nello specifico, è stato imposto un taglio (aggiuntivo rispetto a tre precedenti nell’ultimo anno, o giù di lì) di 5 milioni e mezzo di euro sul bilancio 2012, a cui teoricamente dovrebbe seguirne un altro di 11 milioni l’anno prossimo.
Ieri Comaschi e Filippi hanno presentato al consiglio provinciale lo stato dell’arte, ossia quel che già si sapeva: a casa tutti i precari (erano 70 all’inizio dell’anno, ma la metà dei contratti pare sia già scaduta, quindi sono ancora 35, più o meno), i più deboli della compagnia. Tagli ovunque si può, e l’ipotesi (perché finché non hai un acquirente vero, sono ipotesi) di cedere una parte del patrimonio immobiliare. A partire dal gioiello di famiglia, ossia l’immobile/colonia di Arenzano, che a quel che si dice in giro potrebbe interessare al comune di laggiù (eh sì, pare che non tutti i comuni siano alla canna del gas come Alessandria). Valore sulla carta: 5 milioni di euro. Valore reale: quel che si incasserà, se lo si incasserà.
Bene, anzi malissimo. Nel senso che si tratta comunque di paliativi: se davvero fosse confermato il taglio di altri 11 milioni nel 2013 che si vendono d’altro? Palazzo Ghilini? E chi lo compra? Il punto è che gli attuali amministratori stanno facendo tutto il possibile, all’interno del perimetro che si sono dati: ossia il personale assunto a tempo indeterminato (intorno alle 700 persone, non tutte super indaffarate a quanto si percepisce) non si tocca. Neanche gli stipendi da nababbi dei dirigenti, a quanto pare, e neanche i bonus dei numerosi funzionari (le famose posizioni organizzative, oltre 50 a quanto si legge).
Il punto è che Filippi e Comaschi, come amministratori locali, hanno ragione da vendere. Un governo che davvero voglia cambiare la struttura organizzativa del Paese deve mettere seriamente mano alla spesa pubblica, a partire dai dipendenti della presidenza del consiglio, e dei ministeri. Per poi scendere verso la periferia. Ma Monti, o chi per lui, non possono pretendere che siano i singoli presidenti di Provincia, o sindaci, a fare la parte dei cattivi, rischiando l’ira di chi ha sempre creduto (a torto, sia chiaro: ma faceva comodo farglielo credere) di aver diritto al posto a vita.
D’altra parte, con il Paese reale e produttivo in queste condizioni (e il meglio deve ancora venire, vedrete), è evidente che questo sistema pubblico, costruito negli ultimi venti/trent’anni con criteri di lassismo e clientele, assolutamente inefficiente e elefantiaco, è ormai insostenibile.
Il punto è però: chi è disposto a mettere la propria firma sotto il decreto di demolizione? Non vuole essere Monti? Impossibile pretendere che comincino Filippi e Comaschi!
E. G.