C’è già chi parla di Regionopoli. Partita dal Lazio, l’inchiesta sull’utilizzo dei fondi a disposizione dei gruppi e dei singoli consiglieri regionali si estende “a macchia d’olio”, e arriva anche al Piemonte, e quindi indirettamente a casa nostra.
Per cui ecco il politico in carriera che denuncia i presunti abusi del collega (e compagno di partito a cui, si dice nei corridoi, in questo modo riuscirebbe a “fare le scarpe” alle prossime elezioni di primavera), oppure l’altro consigliere che dice “io ho rinborsi alti perché so far politica solo fra la gente”, e l’altro ancora che, più onesto e magari anche un po’ più “sgamato”, fiutò l’aria in anticipo rinunciando al rimborso chilometrico (48 centesimi a chilometro, secondo La Stampa di sabato).
“Guarda che non siamo tutti come er Batman“, mi dice un serio esponente politico alessandrino. E io ne sono straconvinto. Però se gli propongo di rilasciare un’intervista, “frena”. Probabilmente con ragione, perché siamo un Paese dalla moralità (individuale e collettiva, non solo politica: troppo comodo) molto bassa, in cui ogni tanto, nei picchi di crisi e incertezza, esplode la voglia di gogna pubblica. I politici più “accorti” lo sanno bene: ricordano le monetine a Craxi, ma anche quale fu poi l’assoluta continuità fra prima e seconda repubblica. Quindi meglio stare sottocoperta che farsi impallinare, di questi tempi.
Anche su scala locale, da settimane si dibatte sull’entità dei rimborsi agli assessori provinciali, e sui costi della politica a Palazzo Ghilini, in attesa che qualcuno tiri fuori le cifre relative a Palazzo Rosso, o ad altre partecipate. In realtà, sottolineano gli addetti ai lavori di cui oggi si tende a fare tutto un fascio, magari ingenerosamente, “esistono normative chiare al riguardo, tutto è a norma di legge”. Per cui un singolo amministratore può magari scegliere di rinunciare per virtuosismo personale ad un certo rimborso, ma non si può considerare un disonesto chi invece lo incassa.
Però, aggiungiamo noi, le regole si possono sempre cambiare, e comunque è vero che, in maniera piuttosto omertosa, i cittadini non sono mai stati informati della loro esistenza. Perché che i palazzi della politica, anche locale, abbiano sempre avuto i vetri offuscati mi pare francamente innegabile. E, del resto, che i comuni cittadini, al contrario dei politici, paghino di tasca loro lo spostamento da casa al luogo di lavoro è un fatto evidente. E di questi tempi ogni differenza si fa privilegio urticante.
Però tagliamo la testa al toro. Il popolo “esplode” spesso per questioni marginali, ma succede quando comunque non ne può più, per tante fondate ragioni. E sono proprio loro, i nostri politici, a ricordarmi spesso, durante o a margine delle interviste, che gli elettori hanno sempre ragione (mentre io più di una volta ne ho dubitato, e ne dubiterò ancora).
Quindi cosa è lecito attendersi dal prossimo inverno, e dalle prossime tornate elettorali?
Un Paese maturo, con un popolo di elettori preparati, credo che dovrebbe rinunciare alle gogne e ai forconi, ma anche alla tentazione dell’astensionismo di massa.
Qui si tratta invece di analizzare la questione con serenità. Ossia: cosa ha prodotto in questi ultmi dieci, o venti anni, la classe politica nazionale, regionale, locale?
Quali risultati per la collettività, e a quali costi? E ancora: sono davvero tutti uguali, i nostri politici? E, comunque, fare il politico può essere il mestiere di tutta una vita, o è assolutamente indispensabile un fisiologico ricambio di persone, generazioni, mentalità?
Insomma, al di là delle ruberie da condannare con durezza (ma senza generalizzare, appunto), la questione è capire se davvero chi ha prodotto i danni ha l’autorevolezza e la credibilità per proporsi come risanatore. Perché è questo che sta succedendo, mi pare. E comunque vale la pena chiedersi che futuro possa avere un Paese che guarda costantemente al passato, anche nella scelta dei propri pubblici rappresentanti.
Ma forse questo approccio, senza gogna e basato sulla razionale valutazione dei risultati, sono proprio molti politici di lungo corso a temerlo, preferendo buttarla in rissa, per arrivare al solito clima da stadio: “noi contro di loro, noi meno peggio di loro, e soprattutto attenti all’antipolitica”. Guelfi contro Ghibellini insomma. Oppure, come diceva quell’altro, “Franza o Spagna, basta che se magna”.
E. G.