Per correttezza di informazione, vorrei condividere, come privata cittadina, alcune dovute precisazioni riguardo l’articolo “La società della conoscenza (e delle conoscenze)” del 25 settembre p.v.
Il progetto europeo Comp.Card, oggetto della discussione, è un progetto biennale che ha dato continuità a un altro progetto europeo biennale chiamato Comp.Eda, il quale è stato scelto come una delle dieci migliori pratiche italiane.
Questi progetti, coordinati dalla Provincia di Alessandria, sono stati finanziati dalla Comunità Europea per trasferire in Italia, Grecia, Romania e Portogallo metodi e strumenti innovativi, adoperati nell’ambito delle risorse umane, di riconosciuto successo gia utilizzati in Spagna, Danimarca e Regno Unito. Quindi il finanziamento comunitario erogato per i due progetti, che per esattezza ammonta a circa Euro 800.000, è stato distribuito tra tutti gli enti dei paesi sopraccitati che hanno partecipato alla sperimentazione.
Per realizzare il trasferimento, i progetti prevedevano un lavoro di analisi dei contesti, condivisione dei metodi e strumenti compreso il loro adattamento culturale normativo e linguistico, la sperimentazione, la valorizzazione e la realizzazione come risultato di nuovi prodotti condivisi: guide, manuali, prove, formazione degli operatori, applicativi on line, pubblicazioni, cd, ecc.
I lavoratori occupati e disoccupati, che hanno dato la loro disponibilità, sono stati coinvolti per collaudare e migliorare i prodotti, infatti, così è avvenuto anche grazie al loro prezioso contributo. Inoltre, tali lavoratori (per precisazione 72 persone solo su CompCard) sono stati coinvolti nel rispetto di parametri previamente stabiliti per la sperimentazione secondo genere, età, livello di studi, situazione occupazionale, ecc; in modo che i prodotti venissero testati su più target.
A questo punto, trattandosi di due progetti di trasferimento dell’innovazione, quindi di investimenti europei in Ricerca, appare ormai evidente che l’obbiettivo, che abbiamo raggiunto con successo, era creare, attraverso l’apprendimento vicendevole tra i paesi, prodotti condivisi a livello europeo, che ovviamente è ben altro che validare la performance lavorativa di un determinato numero di lavoratori locali.
Vorrei evidenziare che è pratica diffusa, da parte degli enti che partecipano a questi bandi europei, che il progettista, esterno o interno, che ha steso il progetto vincente, svolga il ruolo di coordinatore (Project Manager).
I curricula dei project manager, che devono essere “esperti senior” nelle materie di cui si occupano i progetti, vengono allegati ai progetti al momento della loro presentazione, e poi sono valutati insieme ai progetti dalla Commissione. Inoltre, ci sono dei tariffari previsti dalla Commissione in cui si esplicitano i massimali per le risorse umane per ogni paese. I quadri finanziari dei progetti presentati devono contenere in modo dettagliato anche il costo dell’ora di lavoro di ogni figura professionale coinvolta e quante ore lavorerà.
Capirete, che in questo campo, i concetti “delle conoscenze” e “degli intrighi di corridoio” finalizzati ad ottenere un ruolo si rivela un’idea riduttiva e provinciale. Infatti, purtroppo questo accade, perché il nostro territorio non è abituato a fare il capo fila nell’ambito dei progetti europei, perciò i cittadini fanno fatica a capire tali dinamiche.
Considerate che i fondi comunitari destinati ai diversi bandi europei sono anche italiani, ma purtroppo l’Italia non riesce né meno a ricuperare quello che versa a causa di un deficit nelle sue capacità progettuali, quindi questi fondi vanno a finire ad altri paesi.
Secondo me vale la pena tentare un gioco in cui vincono i migliori, naturalmente bisogna percorrere una strada tutt’altro che facile, ma se vogliamo non rimanere ancora più indietro in Europa è una strada obbligata da percorrere, mettendo in campo naturalmente il meglio delle nostre intelligenze, che come ho potuto costatare in questi anni, sul nostro territorio ci sono e come, anche se magari scarsamente valorizzate.
Gloria Zenari