Edilizia alla canna del gas significa, per il nostro territorio, sofferenza profonda. Non giriamoci tanto attorno, non serve. Per una provincia che non ha saputo nel tempo evolvere in altre direzioni, rimanendo saldamente ancorata all’economia “del mattone”, nelle sue declinazioni pubblica e privata, prendere atto che gli enti locali non hanno più un euro da investire in infrastrutture di qualsiasi genere vuol dire prepararsi ad una crisi di lungo periodo. E considerato che il numero di alloggi “sfitti” ad Alessandria e dintorni è già oggi significativo, e che le famiglie prima di comprare nuove case e contrarre mutui ci pensano non due ma almeno tre volte, non è che anche da lì possano arrivare chissà quali sferzate in positivo.
Per chi conosce in maniera diretta qualche impresario edile, o anche semplici muratori, i dati emersi l’altro giorno all’incontro pubblico del Collegio Costruttori di Alessandria non sono sorprendenti. Gravi sì però, e Franco Osenga, presidente uscente Ance, non lo ha certo minimizzato: «Avrei voluto lasciare con altre prospettive e in altri contesti, sia per la nostra categoria che per il Paese. Avrei voluto immaginare un passaggio con una programmazione di azioni positive e sentimenti di fiducia e ottimismo. Ho ben presente i colleghi che stretti tra enormi difficoltà, perché io stesso con la mia impresa non ne sono certo esente».
Ci troviamo di fronte ad un vero bollettino di guerra: in pochi anni in Italia sono “saltati” nel comparto edile circa 500 mila posti di lavoro, con una riduzione degli investimenti del 26% fra il 2008 e il 2012, e la chiusura di circa 40 mila imprese.
E sul piano provinciale il trend è simile: le imprese edili sono scese dal 2008 ad oggi del 30% (ne sono rimaste 972), e gli occupati del 32% (oggi sono circa 4.200). Senza contare, naturalmente, che con un mercato in simili condizioni il lavoro “nero” rischia di trionfare, e di conseguenza le condizioni di sicurezza per gli addetti possono ulteriormente peggiorare.
Come se ne esce? Sgravi fiscali, certamente. E le grandi opere, stile Tav e Terzo Valico?
Qui farei attenzione: non è che con la scusa di rilanciare il comparto edile ci si debba mettere tutti a “battere le mani” a certi progetti. Semmai, al contrario, è doveroso chiedere ai nostri politici, tutti quanti, se abbia senso, in un Paese che cade a pezzi (strade, montagne, colline, edifici pubblici), lasciare andare tutto a ramengo per investire decine di miliardi di euro dei cittadini nella Tav. Scommettiamo che, se consultata, la gran parte degli italiani la penserebbe diversamente?
Però questo rimane il Paese dei paradossi. Fiat e le sue “pantomime” (che in Italia l’intenzione sia chiudere i battenti della produzione e mantenere un avamposto direzionale/marketing a Torino lo si sussurra da anni, e certi sindacalisti sono “pinocchietti” un po’ indecenti)
fanno più scandalo dell’edilizia in ginocchio. Così come, su scala locale, se i dipendenti pubblici vincitori di concorso ricevono gli stipendi con una settimana (7 giorni) di ritardo è scandalo, mentre di decine di migliaia di precari, dipendenti di cooperative alla canna del gas e disoccupati senza prospettiva non parla praticamente nessuno. E’ una guerra tra poveri, d’accordo. Ma comunque si usano pesi molto diversi. Perché secondo voi?
E. G.