Oggi 12 settembre aprono le scuole (quella di Pierino si scriveva con la q) ed è sempre una dolce emozione vedere i bambini di prima che vanno, accompagnati dalla mamma o dai nonni verso quel cancello o quel portone che in fondo rappresenta, per chi finora è stato solo un piccolo individuo, l’ingresso nel Mondo vero, quello formato dai grandi. Di lì a pochi anni dovranno affrontare il lavoro, dovranno pagare le tasse, dovranno assumersi la responsabilità di una famiglia e la formazione dovranno riceverla dalla scuola.
Non sono un esperto di problemi scolastici, ma sono stato genitore e sono nonno ed ho avuto la ventura di toccare con mano le difficili situazioni in cui versano parecchie (forse la grande maggioranza) fra le scuole di casa nostra.
I ritardi e le disfunzioni della scuola italiana sono ormai di lunga data e risalgono ad almeno un quarantennio fa.
Un analista dei problemi della Pubblica Istruzione, cioè un esperto del ramo, già ispettore scolastico, ha scritto che la storia della scuola italiana dall’Unità ad oggi si può divedere in tre periodi ben distinti:
quello successivo alla proclamata unificazione nazionale, durante il quale lo Stato fu costretto a fare uno sforzo gigantesco per sottrarre dalla piaga dell’analfabetismo masse sempre più ampie di cittadini, formando nella scuola primaria un esercito di maestri e di maestre, distribuito in tutti i comuni d’Italia, comprese le frazioni (c’era qui vicino a noi una scuola elementare perfino alla Cascina Passalacqua). Questo esercito di insegnanti era fatto di persone dal cuore grande, pieno di buona volontà, quasi a livello di missionari. Abitavano di solito fianco a fianco dei loro alunni, come era inevitabile nei paesi di campagna e di montagna, e ne condividevano i disagi e le ristrettezze.
Il periodo successivo fu quello del fascismo, durante il quale lo Stato, anche con investimenti massicci di pubblico denaro, attraverso la scuola, cercò di forgiare quello che, secondo l’ideologia del tempo, doveva essere il cittadino del futuro: un individuo sempre più legato ai bisogni ed agli interessi dello Stato, secondo la visione militaresca del partito unico. Ecco quindi il legame molto stretto fra il partito al potere e la classe insegnante, chiamata ad assecondare il pensiero del Capo ( pure lui maestro elementare).
Non a caso l’unica vera seria rivoluzione nel campo della scuola superiore avvenne appunto in quel periodo, grazie alla riforma Gentile. Tuttavia il nuovo italiano che doveva
incarnare l’etica fascista non venne alla luce, anzi l’italiano pigro e opportunista ebbe ancora una volta il sopravvento.
Il secondo dopoguerra, per ragioni di ristrettezza finanziaria, inaugurò il periodo della lesina a danno della Pubblica istruzione, il cui bilancio venne sempre più destinato ad obiettivi che poco avevano a che fare con la qualità dell’insegnamento, ma piuttosto con le esigenze sempre più diffuse ma di basso livello della classe insegnante, ma ancora di più dei cosiddetti ausiliari o collaboratori non insegnanti del corpo della scuola italiana, un esercito sempre in aumento, assetato di diritti sindacali o presunti tali.
I ministri della Pubblica istruzione della Repubblica erano attenti al ritorno elettorale delle loro presunte riforme, molto meno al ritorno dell’investimento a vantaggio degli alunni della scuola pubblica.
Gradualmente, ma inesorabilmente, la figura del maestro perse dignità e prestigio con conseguente espulsione della categoria maschile dal corpo insegnante. Ormai trovare un maestro maschio è molto difficile, dal momento che con quello che ricava dalla sua professione non sarebbe in grado di mantenere la famiglia.
E’ stato scritto più volte in questi anni che se il bilancio della scuola pubblica è così oneroso per le casse dello Stato e arriva a rappresentare l’8% della spesa totale, non è altrettanto vero che i soldi vengano spesi bene, anzi. Tutti denunciano la gravità del problema, ma nello stesso tempo nessuno fa nulla per rimediare, né dal lato quantitativo né da quello qualitativo.
Adesso anche le cosiddette scuole private piangono miseria e dicono di essere anche loro al limite del fallimento, dato che le sovvenzioni statali sono state ridotte, mentre agli alunni della scuola pubblica viene richiesto di contribuire addirittura con il materiale di consumo come la carta igienica, dal momento che gli stipendi dei dipendenti del ministero assorbono il 91% del totale ed a disposizione per tenere aperte le scuole resta ben poco.
La cosa non è solo da oggi ma da qualche decennio. Ricordo molto bene di essere andato a tinteggiare, insieme ad un gruppo di volenterosi genitori della scuola del Villaggio Europa, un anno nel quale i miei figli frequentavano le elementari, perché le aule d’insegnamento erano a dir poco indecorose. I bidelli ci guardavano stupiti e si chiedevano chi ce lo avesse fatto fare. Ovviamente pensavano che anche i nostri figli avrebbero avuto dei diritti, tipo quello di vivere in aule pulite, ma non si capiva dove incominciavano i cosiddetti diritti e dove si potevano collocare i doveri.
Sarà forse per la nostalgia che prende quelli della mia età quando parlano della loro infanzia, ma sono quasi sicuro di poter dire con cognizione di causa che le scuole elementari Montanari di Castelceriolo erano molto più in ordine quando le ho frequentate io, cioè dal 1948 al 1952, che oggi, visto l’attuale aspetto piuttosto dimesso.
Dicono che la scuola moderna, con i suoi numerosi difetti, rispecchia nuove gerarchie sociali, nuovi stili di vita, nuovi diritti delle famiglie derivati dai cosiddetti “poteri delegati” .
Il maestro non ha più il prestigio di un tempo, non solo non ha più il diritto di sgridare e di punire, ma nemmeno più il diritto di bocciare, perché sotto minaccia continua di qualche esposto al TAR o alla Procura e per operare come operavano i maestri di un tempo avrebbe continuo bisogno dell’assistenza di un legale.
Un tempo il Direttore Didattico della scuola Montanari era un mito, la prof. Isabella Bobbio (pare fosse parente del filosofo Norberto Bobbio); se ne sentiva parlare ma si vedeva poco. Per noi era quasi una leggenda, per i nostri genitori un’autorità assoluta che nessuno avrebbe osato mettere in discussione. Le poche volte che si faceva vedere ed entrava nella nostra aula, scattavamo in piedi come delle molle ed il silenzio era assoluto.
Dicono da anni che la scuola deve aprirsi alle nuove realtà, che bisogna alleggerire i programmi, che bisogna stimolare i ragazzi ad acquisire cognizioni piuttosto che nozioni.
Il maestro si sforza di educare, ma l’educazione latita. Il Direttore non dirige più ma coordina, cioè bandisce riunioni a non finire, alla quale gli insegnanti sono obbligati a partecipare, ma non è detto che servano a qualcosa davvero, perché bisogna rispettare i “diritti” di tutti, particolarmente di coloro che non ne hanno voglia.
Non possiamo certo tornare indietro, ma io penso che possiamo avere il diritto, noi che non abbiamo più interessi diretti, di raccontare ai ragazzi di oggi cosa era la scuola di cinquanta-sessant’anni fa. Anche la nostalgia può avere un’utile funzione sociale.
Buona fortuna ragazzi! Vi ricordo i tre doveri della scuola: lo studio, l’impegno, il rispetto.
Luigi Timo – Castelceriolo