Mentre continua l’attesa messianica dei commissari ministeriali (uno dei mestieri meno invidiabili d’Italia, di questi tempi), oggi pomeriggio torna a riunirsi il consiglio comunale di Palazzo Rosso. All’ordine del giorno ci sono anche temi di una certa rilevanza (il futuro dell’Amiu, ad esempio. E il discorso potrebbe allargarsi anche ad altre partecipate), ma chissà se tra i nostri amministratori ci sarà un po’ di tensione e amarezza in più, per come ormai quasi quotidianamente Alessandria viene dipinta dalle tv e dai giornali nazionali. Una specie di Grecia in miniatura, o di Reggio Calabria meno violenta, ma con lo stesso livello di inefficienza pubblica, e produttività privata.
Tra gli ultimi casi da segnalare, ecco il quotidiano Il Fatto, che nell’edizione di domenica dedica all’Alessandria dell’era Fabbio un pezzone irridente, a firma del figlio del procuratore capo della Repubblica di Torino. Noblesse oblige. E il bravo Stefano Caselli ci dà dentro mica male, partendo da quella pietra miliare (il video/sogno/delirio in cui Fabbio incontra il senatore Teresio Borsalino e ci dialoga in dialetto) che fa parte di una non completata trilogia (io ci speravo, e avevo già fatto sciagurate ipotesi sul terzo episodio) sulla quale a suo tempo anche noi ironizzammo non poco.
Con la differenza che il presente scrivano si diverte di più a criticare i potenti (o presunti tali, dai: siamo onesti) quando siedono sullo scranno del comando, che non a svuotare il caricatore su un uomo morto. Politicamente, s’intende. No, così è troppo facile ragazzi, e pure ingeneroso. Va bene per i media nazionali magari, che si sa, quando vanno in provincia devono fare il ritrattino d’effetto. Ma noi che qui ci siamo cresciuti e ci viviamo, dai, facciamo uno sforzo analitico in più, e attiviamo i neuroni che ci rimangono.
Alessandria non è mica fallita per le rose moldave, o le penne di lusso, o le agende comprate per fare un regalino di congedo all’amico di turno. Tutti atti gravi (e un po’ superficiali, perché compiuti quando già c’era puzza di bruciato, eccome: infatti i più svegli si erano “sfilati” per tempo dalla compagnia di giro), dei quali sarebbe giusto rispondere, politicamente e non solo.
No, Alessandria è fallita perché la spesa pubblica dell’ente locale principale, per vent’anni almeno, è stata gonfiata a dismisura, e in maniera improduttiva.
Palazzo Rosso (e società annesse) sono arrivati ad avere 2 mila (dicesi duemila) dipendenti, in un Comune di 95 mila abitanti. Se vi sembra un numero congruo, in rapporto alla qualità, alla tipologia e al livello dei servizi erogati, fatevi avanti e spiegateci.
Spesso alcuni politici da prima repubblica ancora in circolazione mi ricordano (in questo sempre concordi) che nell’Alessandria della tangentina (l’aggettivo partitico mettetecelo voi..) diffusa, i conti di Palazzo erano comunque più o meno in ordine, e le partecipate non più di 4 o 5.
Ergo, le radici del presente disastro affondano diciamo nell’ultimo ventennio, dal 1993 in poi: anni durante i quali Piercarlo Fabbio c’è sempre stato, anche se per lo più come oppositore (vero o finto, fate voi), quindi non è certo persona estranea ai fatti. E l’ultimo quinquennio è stato un concentrato di sciagure. Ma, per favore, almeno qui non facciamone l’unico capro espiatorio di una vicenda che è davvero molto più complessa.
E, soprattutto, guardiamo avanti. Giustissimo affrontare le emergenze. E inevitabile. Però io non mi stanco di chiedere in giro, a chi teoricamente dovrebbe saperne più di noi comuni cittadini, come se ne esce. Perché Alessandria deve guardare avanti, su questo credo che siamo tutti d’accordo.
Nei prossimi giorni torneremo a fare l’elenco delle occasioni mancate, e soprattutto di quali sono le leve sulle quali, oggi, ha ancora senso puntare ed investire. Naturalmente con il contributo di chi di voi desidera partecipare. Fino ad oggi l’unica soluzione che ho visto sventolare si chiama sovvenzioni statali, in forma di fondi una tantum, di interventi della Cassa Depositi e Prestiti ecc…Posso dire che mi sa di statalismo un po’ vecchiotto, e che mi piacerebbe che circolassero idee un po’ meno assistenziali? Dai, che magari tutti insieme ne ricaviamo qualcosa di costruttivo: proponete…
E. G.