[BlogLettera] Face-book ovvero il libro delle facce

Facebook ha avuto successo per la voglia della gente di comunicare, ma prima di tutto di  farsi conoscere. Infatti l’origine sta nella consuetudine di alcune università americane di pubblicare un elenco di nomi e di foto di tutti gli iscritti studenti per facilitare i contatti fra loro e le conoscenze personali.

Fra noi che viviamo il nostro tempo potrebbe essere il mezzo migliore  per conoscersi reciprocamente, non soltanto fra i giovani della stessa generazione, abituata ad utilizzare i moderni strumenti di comunicazione, ma anche fra le diverse componenti generazionali della nostra società.
E’ purtroppo un limite serio quello generazionale, difficile da abbattere e da superare, anche perché i pregiudizi ci sono da entrambe le parti.

Nella generazione che precede c’è talvolta la sfiducia verso quella che segue ed in quest’ultima si annida un desiderio di ribellione non sempre giustificato.
Quello che conta tuttavia è soltanto quello che rimane in eredità nel passaggio da una generazione all’altra.

La mia esperienza personale mi induce a pormi qualche motivo di riflessione circa il comportamento ed i traguardi delle tre generazioni con le quali ho convissuto più a lungo: quella di coloro che hanno fatto la guerra e lavorato per la ricostruzione del nostro paese, quella dei loro figli, cioè la mia generazione e quella successiva alla quale spetta il difficile compito di rifondare la società contemporanea.

Alla prima delle tre, cioè coloro che hanno gestito il dopoguerra, mi sento di poter addebitare solamente errori di misura, presi come erano dalla frenesia della ricostruzione. Hanno fatto molto, anzi moltissimo, ma sovente in modo troppo utilitaristico, sacrificando la bellezza al danaro. In ogni caso bisogna riconoscere la loro buona fede perché hanno saputo trasmettere la speranza alla generazione successiva.

La generazione di mezzo, che poi è in parte la mia ed in parte quella dei sessantottini (io mi sono sempre chiamato fuori dal gruppo) ha goduto dei frutti dello sviluppo economico, si è nutrita di illusioni, prima di tutto l’illusione della ricchezza facile,  ha rifiutato troppe volte di assumersi il carico delle responsabilità sia nei confronti di sé stessi (troppo facile dare sempre la colpa alla società) sia nei confronti degli altri (l’edonismo diffuso, gli slogan senza senso, tipo “io sono mia” , “l’utero è mio e me lo gestisco io”, oppure sull’altro versante idiozie tipo “voglio  essere me stesso fino in fondo”, percorrendo  strade infide come quelle della droga, pantani morali nei quali sono affondati troppi giovani che avrebbero potuto altrimenti portare contributi importanti allo sviluppo della società. Risultato: la generazione del Sessantotto non ha trasmesso un bel nulla alla generazione successiva, anzi le ha tolto non solo la speranza, ma anche l’illusione.

Ho paura che quest’ultima, quella dei nostri figli, rischi di perdere la fiducia, prima di tutto  nel proprio ruolo e nei propri mezzi e poi la fiducia nelle possibilità di migliorare la società.
Ci sono troppe contraddizioni nella nostra società.
Per un verso non è vero che siamo o che si debba per forza essere tutti uguali, perché il rischio è l’appiattimento verso il basso. Inoltre nel mondo  contemporaneo ci sono troppi illusionisti di mestiere.
Per cambiare in meglio non c’è altra soluzione che puntare ai vertici dell’eccellenza, come ci ha insegnato Steve Jobs, il mito fra i capitani di ventura dei tempi moderni.

Anche sulle infinite opportunità di  uno strumento come Facebook si sarebbe da riflettere seriamente. E’ uno strumento non un obiettivo da raggiungere e come tale non può  sostituire altri strumenti di comunicazione e di conoscenza interpersonale.

La sua importanza a me pare sopravvalutata in quanto anche se strumento allargato a tutti e quindi in grado di dare la parola in misura quanto mai democratica, rappresenta in larga parte una faccia della società vacua e contradditoria.
Inoltre troppi mestieranti autonominatisi “maestri di pensiero” approfittano per insinuarsi in rete e spargere scemenze.
Non vorrei sbagliarmi e chiedo  il parere di coloro che sono più preparati ed intelligenti di me.
Se mi rivolgessi alla sapienza degli antichi o meglio ancora all’arguzia dei nostri nonni per dare una definizione di Facebook, probabilmente la risposta sarebbe questa:
“ Tücc i cån i bugiu la coua – tücc i cujón i disu la soua”.

Luigi Timo – Castelceriolo